«Arrestato dalle SS tedesche e trovato in possesso di materiale di
sabotaggio e di documenti militari, per giorni e giorni veniva
sottoposto ad atroci, inaudite torture alle quali rispondeva, senza
cedere un istante, ma anzi rincuorando dal carcere i compagni, col più
stoico silenzio. Destinato al plotone di esecuzione dai tedeschi che ne
dovevano, a titolo di ludibrio e di rappresaglia, impiccarne più tardi
la salma sulla piazza di Villar Pellice, affrontava la morte liberatrice
con la serenità degli eroi. Le sue ultime parole, trovate incise con
uno spillo nella sua Bibbia tascabile, sono state: “Non piangetemi, non
chiamatemi povero; muoio per aver servito un’idea”.» Questa la
motivazione con cui nel 1950 fu concessa la medaglia d’oro al valor
militare alla memoria a Guglielmo, Willy, Jervis, ucciso dai nazisti il
5 agosto del 1944 a Villar Pellice. Ivrea gli ha dedicato la via sulla quale si affaccia il cuore del sogno
industriale degli Olivetti, con la “fabbrica di mattoni rossi” di
Camillo e la “fabbrica di vetro” di Adriano con le finestre che
riflettono i profili delle montagne che circondano la città dalle
“rosse torri”. La stessa arteria che il grande architetto e urbanista Le
Corbusier non esitò a definire “la strada più bella del mondo”.
William Jervis, più noto come Guglielmo o come Willy, ingegnere
olivettiano e antifascista, alpinista e partigiano era nato a Napoli
l’ultimo giorno del 1901.Venne al mondo nella città dal golfo dominato dal Vesuvio per puro
caso. Come ricorda un bell’articolo che gli dedicò L’Ora del Pellice
“il padre Thomas, un milanese di origini inglesi, ingegnere e dirigente
aziendale” si trovava a Napoli per ragioni di lavoro e si ruppe una
gamba. “La moglie Bianca Quattrini lo raggiunge per sostenerlo, ma il
travaglio la sorprende nella città partenopea, dove il 31 dicembre 1901
dà alla luce il piccolo Willy. I legami della famiglia Jervis con la
Val Pellice sono stretti. Il nonno di Willy, un importante geologo
britannico che come lui si chiamava William Paget Jervis, aveva sposato
una donna valdese di Torre Pellice, Susanna Laura Monastier. Anche
Thomas Jervis, il padre di Willy, pur vivendo abitualmente a Milano, era
frequentemente in visita alle valli valdesi”. Guglielmo Jervis studiò a
Torino, Firenze e al Politecnico di Milano dove si laureò in ingegneria
nel 1925. Terminato il servizio militare fu assunto alla Frigidaire, azienda
milanese di frigoriferi dove lavorò per sei anni. Attivo nel movimento
giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivista
Gioventù Cristiana e nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta
a Torre Pellice, anch’essa valdese, Lucilla Rochat. Nel 1934 il giovane
ingegnere passò alle dipendenze della Olivetti. Dopo un breve incarico
come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò
nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare
la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa
fabbrica di macchine per scrivere. Intelligente, schivo, riservato e, al
tempo stesso, estremamente concreto e dinamico, l’ingegner Jervis
nutriva una grande passione per l’alpinismo. Amava le montagne, le
ascensioni in roccia e fece parte del Club Alpino Accademico Italiano,
la sezione d’eccellenza del sodalizio, il fiore all’occhiello del CAI,
formato da alpinisti che si erano distinti per le loro imprese sportive.
Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’8 settembre fu tra
i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea. Mettendo
a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue,
accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in
Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei
servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti
missioni di collegamento con i partigiani italiani. Ricercato da
fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le valli valdesi
dove proseguì l’attività partigiana assumendo il nome di battaglia di
“Willy”. Commissario politico delle formazioni piemontesi di Giustizia e
Libertà, l’ingegnere olivettiano si distinse per coraggio e altruismo,
organizzando anche il primo lancio di armi ai partigiani nel gennaio del
’44, un episodio importante che Giorgio Agosti ricordò così: “In
quell’alta Val d’Angrogna che aveva visto accendersi i fuochi dei
valdesi che difendevano la loro libertà contro le truppe francesi e
piemontesi, Jervis ebbe la gioia di accendere i fuochi che accolsero il
primo lancio di armi effettuato dagli alleati nelle Alpi occidentali”.
Un paio di mesi dopo, la mattina dell’11 marzo, Jervis fu fermato da una
pattuglia delle SS sul ponte di Bibiana perché sprovvisto dei documenti
di circolazione della sua motocicletta. Portato in caserma, prima di
essere interrogato, tentò inutilmente di disfarsi del materiale
compromettente e venne trasferito e rinchiuso per cinque mesi nelle
Carceri Nuove di Torino in attesa della condanna a morte. Torturato a
lungo, non rivelò alcuna informazione che potesse nuocere al movimento
partigiano. Nonostante le dure restrizioni della vita carceraria riuscì
clandestinamente a scrivere delle lettere alla moglie. Nella notte tra
il 4 e 5 agosto 1944, insieme ad altri quattro compagni, venne portato a
Villar Pellice e fucilato sulla piazza del paese che oggi, in memoria
del suo sacrificio, ne porta il nome. Il corpo di Willy Jervis, a
spregio e monito, fu poi impiccato a un albero. Il giorno dopo, sul
luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava
sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo
pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito
un’idea”. Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”,
Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo
alla vedova Lucilla Rochat “l’onore di provvedere” a lei e ai figli. Nel
1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor
militare. A lui sono dedicati due rifugi alpini (uno a Ceresole Reale,
in Valle Orco sulle Alpi Graie; l’altro a Bobbio Pellice, in val Pellice
nelle Alpi Cozie). Un testo fondamentale per approfondire la sua storia
è “Un filo tenace. Lettere e memorie 1944-1969”, che raccoglie la
corrispondenza con la moglie Lucilla e Giorgio Agosti, pubblicata da
Bollati Boringhieri a cura di Luciano Boccalatte, con l’introduzione di
Giovanni De Luna e la postfazione del figlio di Jervis, Giovanni,
importante psichiatra e collaboratore di Franco Basaglia, scomparso nel
2009. Un altro libro importante è “Willy Jervis. Una vita per la
libertà”, scritto da Lorenzo Tibaldo per i tipi della Claudiana.