Eravamo rimasti alla rielezione di von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea (si veda Ursula? Ma quale maggioranza!), con non poche perplessità. È il momento di aggiornarci, mettendo qualche puntino sulle i.
La Presidente è stata rieletta, a scrutinio segreto, senza avere una maggioranza; o, meglio, senza che la maggioranza dichiarata PPE-Liberali-S&D la sostenesse appieno: i mancati voti dei franchi tiratori sono stati sostituiti con altri di estrema sinistra. Cosa già accaduta cinque anni fa con l’appoggio dei Cinque Stelle. Il che costituisce de facto una minoranza con appoggio esterno e, purtroppo, gli appoggi esterni si pagano, ed anche cari. Questo ha frustrato il tentativo di colpo di mano, di riproporre con un blitz la stessa commissione uscente, ignorando il marcato spostamento a destra dell’elettorato europeo. Questo tentativo che ha portato alla riproposizione dei nomi di von der Leyen e Metsola, in barba ai più elementari principi di alternanza (anche solo fra nazionalità), si è poi arenato in trattative durate oltre quattro mesi. Purtroppo la democrazia rimane tale anche quando ad essere eletti non sono quelli che vorremmo.
Oggi l’Europa ha una Commissione, eletta a scrutinio palese, decisamente diversa dalle aspettative. Primo perché sostenuta da una maggioranza risicata; secondo perché in questa maggioranza ci sono alcuni voti di ECR (Conservatori e riformisti europei, tra cui Fratelli d’Italia) e dei verdi; terzo perché mancano all’appello molti voti del PPE (spagnoli) e di S&D (francesi). La nuova maggioranza appare quindi più limitata nei numeri, allargata nei partiti e frammentata, con defezioni e sfilacciamenti all’interno degli stessi gruppi parlamentari. Questa situazione renderà molto più difficile il cammino dei progetti di riforma che dovranno trovare di volta in volta sostegno, probabilmente a maggioranze variabili. Non mi risulta peraltro che a livello comunitario si sia mai posta una questione di fiducia, durante il mandato, la cui mancanza abbia portato ad elezioni anticipate. È più probabile che si rischi una situazione di stallo e di inoperatività. Se questo è il risultato del tentativo di blitz, allora si sarebbe operato meglio prendendo da subito atto della mutata posizione del parlamento e cercando una più ampia intesa su nomi nuovi e magari autorevoli: Draghi su tutti.
Vincitori e vinti. La caduta degli zombie.
Indubbiamente c’è un netto successo politico per Meloni che, nonostante le critiche, ha tenuto il punto su Fitto ed ha ottenuto ciò che chiedeva, sdoganando Fratelli d’Italia come credibile forza di governo in Europa (nonostante la conventio ad escludendum iniziale) e prendendosi la soddisfazione di essere determinante per la maggioranza.
Decisamente diversa è la situazione di quelli che a luglio abbiamo definito zombie, morti viventi, ad un passo dalla scomparsa politica.
Sholz. La prima caduta.
Il cancelliere della Germania a traino Spd Verdi Liberali ha perso le elezioni e non sarà più cancelliere, avendo portato il partito ai minimi storici ed i suoi alleati liberali fuori dal parlamento. I risultato elettorale è netto e consegna a Merz, cancelliere in pectore, un ampio ventaglio di possibilità che starà alla sua abilità politica sfruttare. Ha il primo partito con 208 seggi su 630, può fare una coalizione con la sola Spd (120 seggi) o, potenzialmente, una più forte con Afd (152 seggi, più di Verdi e Linke insieme) che si è detta disponibile. È probabile che inizi la legislatura con la Spd, ma il potenziale di ricatto è altissimo: cosa gli impedisce, magari tra un anno, dopo essersi consolidato come affidabile nell’immaginario collettivo, di infilare un disegno di legge fortemente restrittivo sull’immigrazione e farlo passare con i voti di Afd, contro i suoi alleati di governo? A quel punto potrebbe far ingoiare il boccone amaro all’Spd, paventando un cambio di maggioranza. Sempre possibile, in Germania c’è la sfiducia costruttiva.
Macron. Quel pasticciaccio brutto brutto degli Champs Elysees.
A seguito della debacle europea del suo partito, ha indetto elezioni politiche anticipate: una scelta tanto affrettata quanto non necessaria di cui, francamente, non mi capacito. La storia politica insegna che, se rischi di perdere e puoi gestire la data delle elezioni, devi procrastinare il più possibile, in attesa di un momento migliore confidando nel fatto che il popolo è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero. Maestro, in questo, fu De Gasperi. Durante la Seconda Guerra Mondiale accettò la Svolta di Salerno proposta da Togliatti (fare un governo di tutte le forze democratiche, rimandando i conflitti, tra cui quello monarchia-repubblica, alla fine della guerra), quindi, simpaticamente, lo estromise dal governo con la svolta del 1947, spianando la strada ai governi monocolore DC. In tutto questo procrastinò le elezioni legislative fino al 1948, mandando gli italiani alle urne per ultimi. Si obietterà che avevano già votato per l’Assemblea Costituente… vero, ma la Costituente non aveva potere legislativo, rimasto in capo al Governo. Di fatto De Gasperi, tirandola volutamente per le lunghe in modo da sgonfiare il vento del nord (la forza politica del movimento partigiano), ed escludendo il PCI dal governo si caratterizza come uno dei più marcati anticomunisti della storia italiana.
Macron, invece, a 24 ore dalla sconfitta alle europee ha sciolto anticipatamente il parlamento, creando le premesse per una netta vittoria del Rassemblement National, evidente dai risultati del primo turno. In Francia, tuttavia, si vota con l’uninominale di collegio a doppio turno, il che ha consentito a Macron, di bruciare questo esito, chiamando tutti a raccolta per il secondo turno; di fatto ritirando i candidati meno votati nei collegi triangolari e quadrangolari (passano al secondo turno tutti quelli che hanno più del 12,5% dei voti). Il risultato è che, così facendo ha penalizzato il suo partito, regalando una mezza vittoria al Fronte Popolare: una coalizione di sinistra, fortemente sbilanciata sulle posizioni radicali di Melenchon.
RN con il 37% dei voti ottiene 142 seggi, Fronte Popolare con il 26% 178 seggi e Ensamble (partito di Macron) con il 23% dei voti 150 seggi. L’indomani Melenchon reclama la vittoria e, al veder nominare Barnier Primo ministro, urla alla vittoria scippata, vittoria invece sottratta al Rassemblement. Nelle intenzioni di Macron, Barnier avrebbe dovuto svolgere un ruolo da tecnico, essendo stato in Europa e fuori dai giochi politici più recenti. Essendo di area centrista avrebbe potuto non dispiacere a Le Pen. Invece il governo che deve far fronte ad una deriva dei conti pubblici cade alla prima votazione sotto il fuoco incrociato di tutti i delusi. Ad oggi Macron ha puntato Bayrou, un altro centrista, con un ruolo più politico: che fine farà? È appeso ad un filo: per due volte ha evitato la sfiducia grazie ai voti di RN. In Francia hanno l’ulteriore vincolo di non poter rivotare a meno di dodici mesi dall’ultima volta, è facile ipotizzare che il Bayrou non arriverà al Natale 2025 e, probabilmente, si inizieranno a chiedere le dimissioni dello stesso Macron. Se avesse studiato De Gasperi adesso dovrebbe solo lasciar passare la buriana…
Sanchez. L’ultimo premier di sinistra tra i grandi paesi Ue.
Abbiamo già detto come regga il suo governo di minoranza con appoggio esterno. Governo che ha dato prova di massima incompetenza nella gestione dell’alluvione a Valencia: che si annuncino alla stampa oltre 2.000 dispersi, che li si cerchi in un parcheggio sotterraneo senza trovarli e poi si dica ci siamo sbagliati, meglio così è una gestione da terzo mondo. È lecito chiedersi quanto durerà. Invece di fare autocritica ha mandato Ribera, una ecologista militante, come Vicepresidente della Commissione.
Le elezioni tedesche, inoltre, cambieranno gli equilibri del Consiglio Europeo, spostando il peso della Germania sul Ppe, dal 26% al 44,5% (in base alla popolazione), mentre i socialisti scenderanno dal 30,4% al 12%. Con il 18,5% dei conservatori di Ecr o il 16,8% dei liberali di Alde, i popolari avranno il controllo del Consiglio, rendendo il suo presidente Costa, socialista eletto lo scorso dicembre, non rappresentativo, creando così un altro zombie che, se non si dimetterà prima, non sarà rieletto tra due anni.
A questi, netti, risultati elettorali interni all’Ue, si aggiunge l’isolamento internazionale di questa Commissione (evidente nelle trattive in corso sulle guerra in Ucraina), data dall’elezione di Trump negli Usa.
Von der Leyen, tenta di darsi una ragion d’essere facendosi dare dei consigli da Draghi (ma sarebbe meglio che le subentrasse direttamente) ed annacquando le forzature ideologiche in tema di green deal. È troppo tardi: chi è parte del problema non può e non deve essere parte della soluzione.
Ursula e Metsola farebbero meglio a riflettere sugli errori di un’agenda sbilanciata sui temi woke, green e pro immigrazione ed iniziare (sia chiaro: in senso metaforico-politico) a farsi progettare un carro funebre. Elettrico.