Il caso, o meglio l’accadimento storico, ci riportano all’attenzione, come testimoni della “religione della Libertà”, i due grandi spiriti dei dissidenti russi, Alexander Solgenitsyn e Vladimir Bikowskj, eminentemente di impronta religiosa e romantica il primo, scientifica e laica il secondo dei due.

Dal momento che non solo nelle scuole ma nemmeno nei media e nei ‘talk show’ ( figurarsi nel dibattito etico-politico corrente ! ) se ne è fatto cenno, provo a ordinare le informazioni e notazioni essenziali sul destino dei due pensatori. Il Solgenitsyn, cui fu impedito di ritirare nel 1970 il premio Nobel dal potere totalitario sovietico, resta l’autore del capitale Arcipelago Gulag (1973-1975)e del romanzo autobiografico Nel primo cerchio, racconto della prigionia nella “saraska” di Marfino, alle porte di Mosca. Il motto dell’autore era: “Ad aver sempre paura di qualcosa, come si fa a restare uomini ?”

 Siamo nel 1949-1950. Ma lo stesso Autore ( nato nel Caucaso, a Kislovosdk, nel 1918 e deceduto a Mosca il 3 agosto 2008 ) spiega: “Il destino dei libri russi contemporanei: se e quando riescon a salire in superficie, vengono fuori spennati. Così è successo di recente al Maestro e Margherita di Bulgakov: le piume sono galleggiate fino a noi in un secondo tempo. Così è accaduto a questo mio romanzo: perché godesse almeno di una flebile vita, per osare mostrarlo e portarlo in redazione, l’ho ridotto e modificato io stesso, o meglio l’ho smontato e ricomposto di nuovo, e in questa forma è divenuto celebre. E anche se ormai non si può ritornare indietro e rimediare, eccovi l’originale. Peraltro, nel ricostruirlo qualcosa ho migliorato: allora avevo quarant’anni, ora ne ho cinquanta.”   “Scritto: 1955-1958. Modificato: 1964. Ricostruito: 1968”.

Recentemente, nella traduzione di Denise Silvestri e con postfazione storica di Anna Zafesova, questo romanzo monumentale, ricomposto e restituito, e ricco di ben 950 pagine, è stato pubblicato infine dalla Casa Editrice ‘Voland’, di Roma ( “Collana Sìrin”, 2017 ). Mentre scriveva anche Una giornata di Ivan Denisovic ( nel 1962 ) e Divisione Cancro ( 1969 ), con “Una parola di Verità” ( 1970, Discorso per il Nobel poi pubblicato in Italia dalla “Fondazione Ambrosetti” ), l’Autore ci consegnava, così, uno straordinario affresco della Russia sovietica, delle sue prigioni e dei suoi angoli nascosti come dei luoghi di potere, dei palazzi e della cattedrali, là dove fu riaccolto per riabilitazione soltanto nel 1994. Sottolineo, nel complesso e arduo lavoro del Solgenitsyn, gli “anni di reclusione”; la complessità tremenda della personalità di Stalin, in odio verso Trozckj ma affascinato da Hitler e nel contempo dall’anima del popolo russo e della “Patria russa”; la struttura dell’enorme romanzo come di una “cattedrale”, al dire di Heinrich Boll “il romanzo di una cattedrale”; con la “moltitudine di angoli reconditi, cappelle, affreschi, statue che emergono dall’oscurità” (Zafesova).

E’ interessante osservare che l’analisi del potere staliniano e degli anni del Terrore, a scapito delle classi operaie e contadine come del caso dell’operaio Vasilij Ivanovich Ljulin, arrestato e soppresso nel 1937, campeggia nel libro coevo di Maria Ferretti ( L’eredità difficile, Viella 2019 ), ove si indulge ad accentuare la mimesis da parte dello stalinismo rispetto alle procedure più disumane dello stesso “capitalismo” e del “Taylorismo” in specie: come se il totalitarismo si modelli spesso sulle forme degli altri sistemi, anche ideologicamente opposti, di “disumanità” e “alienazione” ( Nazionalsocialismo; efficientismo stakanovista; capitalismo e fordismo ). Ma tutto ciò accade – a mio avviso – non a giustificazione e correzione della categoria di “totalitarismo” ( elaborata dalla Arendt in giù ), per inclinare verso una qualche forma di diluizione “liquida” del sistema totalitario; ma solo perché “il male è sempre lo stesso; e’ il bene che si diversifica perché è creativo” ( con l’aforisma di sentore crociano coniato da Cesare Gàrboli e da me ripreso ne I conti con il male).

A questo fine, è utile rievocare la figura e l’opera dell’altro grande dissidente laico Vladimir Bukovskj ( Belebej – Russia Orientale 1942 – Londra ottobre 2019 ). Da ragazzo, il Bukovskj si vantava di avere letto tra i primissimi le poesie di Pasternak e Osip Mandelstam in pubblica piazza a Mosca; fino a subire un primo arresto nel 1961 come “dissidente eretico”, arresto poi ripetuto nel 1963, dando origine alla tremenda esperienza diretta dei Gulag o manicomi criminali psichiatrici, di cui nulla sapeva l’Occidente fino agli anni Settanta del secolo scorso, a sèguito della lettera fatta pervenire per denuncia in Occidente dallo stesso coraggioso scienziato chimico e dissidente. Il gruppo degli intellettuali liberali esultò quando, nel dicembre 1976, con l’accordo Breznev-Pinochet  si arrivò allo scambio tra il dissidente cileno Corvalan e il russo Vladimir Bukovskj, entrambi diventati troppo ‘ingombranti’ di fronte all’opinione pubblica mondiale, a carico delle rispettive dittature. Il torinese liberaldemocratico Aldo Garosci, con “Prospettive Settanta” e “Nord e Sud”, dichiararono pubblicamente soddisfazione per la doppia liberazione a Zurigo, ove Bukovskj fu portato in manette per passare poi in Gran Bretagna, sottolineando la contraddizione per cui, mentre il Bukovskj dichiarava di essere lieto non solo per la propria personale riacquistata libertà, ma anche per quella contestuale di Corvalan fino al giorno prima detenuto nelle carceri cilene, viceversa il Corvalan stesso contestava lo scambio come forma di “baratto” o “mercimonio”. In quegli anni, inutile era precisare che lo scambio era stato voluto proprio dal regime sovietico o cercare di lasciarne l’insegnamento da “religione della libertà” presso i più giovani studenti universitari o liceali. L’anticrocianesimo imperante e la capillarità dell’organizzazione degli “intellettuali organici” ne rendevano rischiosa la testimonianza. Any way, non abbandonammo il campo, portando lo stesso Bukovskj in Italia a Presidente dei “Comitati per le Libertà” ( animati da Dario Fertilio, Angelo Gazzaniga, Dario Antiseri, Aldo A. Mola, Dino Cofrancesco, Stefano Magni ed altri ) ed incontrandolo in più convegni a Milano, Firenze e Roma, per esaltarne il coraggio di denuncia civile e le analogie con l’anti-praxismo di Rosario Assunto. Famose furono le nostre e le sue riletture del primo versetto di San Giovanni, tradotto da Goethe nel Faust, con “In principio era la Prassi !”, piuttosto che “In principio era l’Attività!” ( se si fosse voluto attualizzare o ripensare il celebre “In principio era il Logos” ). Bukovskj mi fece osservare che questo inserto ermeneutico era solo la prima parte del suo libro sul Processo a Mosca, tradotto dal francese della Casa Editrice Robert Laffont di Parigi ( 1996 ), a seguito di Les pacifistes contre la paix ( ivi, 1982 ). Acconsentii, rilevando che, però, intorno a quella traduzione-interpretazione ruotava tutto il campo etico dell’esistenza e della libertà umana ( dove prevale il “praxismo” dileguano gli altri “valori”, essendo stato abolito il rapporto di unità-distinzione delle categorie; mentre parlando di “attività”, il gioco era lasciato libero in ogni direzione poetica o teoretica, economica o etica e morale ).

Ma soprattutto tradussi I pacifisti contro la pace (nuova lettera agli Occidentali) con il saggio La natura della minaccia sovietica e della replica occidentale, in Attualità del 1799. ‘Lunga durata’ di Libertà, nel Bicentenario della Repubblica Partenopea ed il consenso di Maria Antonietta Macciocchi, autrice di Cara Eleonora, in Andria ( Guglielmi 1999, pp. 71-124 ), e la premessa Bukovskj e il Processo a Mosca ( ivi, pp. 58-70 ).

Lo stesso dissidente era infatti convinto della bontà di una “Norimberga” comunista e di una vera alternativa liberaldemocratica al KGB e al sistema di potere ancora imperante; fino al punto di candidarsi ( sconfitto da Medvedev ) alla Presidenza russa nel 2008. Inutile dire delle difficoltà e denunce subìte poi anche in Occidente dal nostro Amico, autore di una letteratura ancora fondamentale: Il vento va, e poi ritorna ( ed. it., Feltrinelli 1978 ); Guida psichiatrica per i dissidenti ( L’Erba Voglio, Milano 1979, scritto con Semen Gluzman ); Cette lancinant douleur de la liberté ( Laffont, Paris 1981 ); URSS dall’utopia al disastro ( Spirali/Vel, Milano 1991 ); Il convoglio d’oro ( Spirali/Vel, Milano 1994, scritto in collaborazione  con Igor Gerascenko, Michael Ledin, Irina Ratusinskaja e Viktor Suvorov, anche autore del parallelo Hitler-Stalin); ed infine Jugement à Moscou. Un dissident dans les Archives du Kremlin ( trad. dal russo e dello spoglio degli archivi in originale, Laffont, Paris 1995 ).

Di lui scrissero gli amici e poeti dissidenti Adam Michnik e Josif Brodskj, nella “Gazeta Wyboraza”, del gennaio 1955; lo psichiatra Vittorino Andreoli, Stalin:la carriera di un folle ( “Corriere della Sera” del 30 giugno 1997 ), in qualità di scienziato ben esperto di dottrina psicoanalitica e della follia criminale ( su cui vedi ora il mio La psicoanalisi è scienza o arte ?, in “traninews” dell’ottobre 2019, poi tra i Modi della complessità ); e Terrore e politica nel XX secolo, a cura di AA.VV. ( Istituto Orientale di Napoli, 16 maggio 1997 ); con G. Dell’Elce e G. Frigerio, Vento dell’Est ( Sperling e Kupfer, Milano 1997 ).

Ora, “Che fare ?” – “Che fare ?”, oggi che tanti amici e maestri sono passati a miglior vita; e quando si aggrovigliano i ‘Russiagate’  di ogni conio e fortuna; i dissidenti vengono arrestati nella più parte della terra ( dalla Turchia in Russia e in Cina ); i giornalisti sequestrati e uccisi, il fondamentalismo non demorde e non abbandona la matrice aggressiva, la protesta  divampante a Hong Kong cerca di ristabilire originalmente la “religione della libertà” ( in quella terra “necessaria” che il Bukovskj rammenta ne Le pacifistes contre la paix: nostra versione citata del 1999, pp. 118-119 ); il Venezuela e la Bolivia e la gran parte dell’ America Latina soffocano sotto le spire della repressione; e insomma per ogni dove soffre la “Lunga durata di Libertà”, che certo ha per sé l’eterno ( come diceva Croce ) ma che deve aprirsi varchi e parentesi sempre più delicati ? Basti pensare alla cyberdittatura in Cina e nel mondo, diffusa su tutta la terra mentre i nostri innocui politici progettando la nuova “via della seta”; o alle infiltrazioni mediatiche delle nuove spie nei sistemi di comunicazioni e nelle strategie politiche occidentali ? Sembrerebbe di assistere a una disfatta per le sorti della liberaldemocrazia nell’intiero pianeta. E in effetti, molti aspetti della vicenda culturale, sociale, economica ed etico-politica del nostro tempo inclinano decisamente a confermarlo. Ma la vita va avanti, vuole le sue nuove forme ed evoluzioni, la ricerca ed il pensiero sollecitati dai nuovi problemi non si arrendono né si arrestano. Restano in breve due risposte e alternative a tutela delle “Garanzie della Libertà” ( come le chiamavano Vittorio De Capraris e Nicola Matteucci ): l’etica del perfezionamento morale, da un lato; e il ricorso costante al diritto, alle vichiane “Guise della Prudenza” ( forme, modalità, valori e passaggio dinamico tra i valori, Giudizio come suprema ‘guisa delle guise’ ), dall’altro.

Per il primo rispetto, in breve, la “sapienza è perfezionatrice dell’uomo” ( scrive Vico nella Scienza Nuova seconda ); l’invito ai signori interlocutori all’ autoperfezionamento piuttosto che alla felicità come tale, è dettato da Benjamin Constant nel celebre Discorso del 1819; sulla scorta di Goethe e di Croce, il filosofo e martire delle Fosse Ardeatine Pilo Albertelli insegna nel 1939: “Le concezioni morali, invece che possesso,sono conquista;e questa conquista noi dobbiamo operare continuamente nel nostro animo”. Per il secondo aspetto, va raccomandata sempre la “cultura delle modalità”.

Si dirà: ma tutto ciò è solo “teoria” ! Ebbene, il chiarimento – comunque dovuto alle giovani generazioni ( e non solo ! ) – dimostra una volta di più – come dice l’Antiseri – che “nulla è più concreto di una buona teoria”.