Marco Ciriello, attraverso i ricordi di un cronista di nera, ripercorre la storia della Napoli degli anni Ottanta.

Un viaggio in un passato non molto lontano, che mette insieme i tasselli di un puzzle complesso fatto di eventi di cronaca e personaggi singolari, nei quali è possibile imbattersi solo in una realtà articolata come Napoli.

Un giorno di questi, allontanandosi dagli espedienti simbolici e narrativi ricorrenti della letteratura contemporanea che hanno raccontato Napoli, accompagna il lettore in un percorso profondamente viscerale attraverso l’incontro con donne ed uomini che sono la più fedele ed intima rappresentazione della umanità varia che anima la città. Il racconto delle drammatiche e profonde storie dei variegati personaggi presenti nel volume, da Pupetta Maresca a Franco Califano, passando per Lucio Amelio ad Angelo Manna, per citarne solo alcuni, definiscono un quadro completo delle vicende di cronaca nera, costume e politica che hanno segnato Napoli in quel periodo. Contestualmente, il racconto professionale e delle sfumature caratteriali di giornalisti quali Mario Forgione, Giovanni Ardengo Carafa (toccante la dignità della sua storia ed il titolo che l’accompagna Lo spazio sospeso), Joe Marrazzo e Nicola Pugliese (l’influenza del suo Malacqua scorre nelle pagine del libro), testimoniano di una evoluzione di una scuola napoletana, del mestiere giornalistico e della sua funzione, che si chiude simbolicamente con la riproposizione della tesi dell’omicidio di Giancarlo Siani differente dalla verità processuale.

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 All’omaggio alla Napoli di allora e ai suoi protagonisti sottotraccia, si accompagna un atto di melanconica denuncia verso una città sempre uguale a se stessa. Siccome immobile, per ricorrere ad una locuzione di recente utilizzata dal filosofo Aldo Masullo. La scelta del titolo del libro Un giorno di questi, che riprende uno dei 60 racconti che lo compongono, ne è la testimonianza. Una espressione napoletana frequentemente utilizzata dal padre dell’autore che “non era un’esclamazione, ma un ritratto della città che promette sempre nel vago e che parlava attraverso lui”. Una minaccia che può trasformarsi in una prospettiva ed in una speranza di cambiamento.

Il titolo del racconto finale, Fenesta ca lucive, che rimanda alle struggenti strofe della canzone di metà Ottocento che narra la storia del ritorno di un giovane innamorato che scopre la morte della sua amata, rappresenta simbolicamente lo stato d’animo dell’autore che, dopo una parentesi romana, ritorna a Napoli da straniero. Chiude, in una narrazione che lascia senza fiato, il racconto squarciato di una città che ti avvolge ogni giorno con la sua caotica ed ordinaria quotidianità ed i racconti inespressi delle sue “anime sospese”.