Mi segue fin dalla prima infanzia, come dire da tutta la vita. È un Gesù Bambino di gesso (o di analogo materiale, non me ne intendo) probabilmente facente parte del Presepe che mia nonna allestiva nei primi anni Cinquanta del secolo scorso. Da allora non mi ha più abbandonato. Misura sette centimetri di lunghezza e sarebbe abbastanza ben conservato… se non fosse per alcuni particolari.

            La mano e parte dell’avambraccio destri non li ha più, troncati (e perduti) giusto a metà dell’avambraccio. Entrambe le gambe non le ha più, troncate (e perdute) giusto a metà coscia. L’arto superiore di sinistra gli è stato spezzato giusto a metà, all’altezza del gomito, ma l’avambraccio e la mano gli sono stati riattaccati con chirurgia abbastanza precisa  (pur con impiego eccessivo di colla, fortemente cementatasi all’intorno).

            Ogni anno lo ricolloco sotto l’Albero allo scoccare della mezzanotte di Natale, dato che, morta mia nonna ormai da tempo, nessuno ha mai più  fatto il Presepe le cui statuine devo essere state alienate. E ancora lo contemplo, questo Gesù Bambino dotato di incredibili ricciolini biondi e di due belle guanciotte vistosamente rossicce, ma soprattutto pieno di amputazioni e riattacchi. Lo contemplo e medito. Mi è impossibile non vedere in lui un’analogia col Cristo, intendo col Cristo piagato e crocifisso, le cui ferite furono tuttavia di altro genere e nulla gli venne amputato e spezzato (da vivo). Nel contempo scorgo in lui un’infinità di altri esseri umani (tutti forse?), che come me (e, innumerevoli, ben più e ben peggio di me) hanno subito ferite, fratture, amputazioni. In lui vedo specchiarsi la mia vita e la vita di infinite altre creature. Che come lui, non ostante tutto, vivono, continuano a vivere, con le loro ferite, le loro fratture, le loro amputazioni. E continueranno a vivere prima del supremo inevitabile trasferimento.

            Ma lui, il mio piccolo Gesù Bambino martoriato, potrebbe non morire mai, restare indistruttibile pur se mutilato, e allora potrebbero non morire neppure quelli che si rispecchiano in lui, tutt’al più trasformandosi, dopo l’ineludibile distruzione fisica. Se così fosse o se così sarà, sarebbe più giusto e doveroso, riferendosi a lui, usare la maiuscola: Lui, il Bambino Gesù mutilato di gesso; Lui, l’icona infantile del Dolore e del Mistero. Della Resurrezione, forse.