Uno dei vantaggi della condizione di malattia è un rilevante aumento della libertà di pensiero. Si sa di essere fuori dai giochi di potere. Non ci sono cariche di governo, o politiche, alle quali si possa aspirare. La salute è malferma e il tempo a disposizione è poco. Di conseguenza, non si sta più a misurare cosa sia opportuno, o inopportuno dire. Aumenta, invece, la voglia di riflessione pura, fine a sé stessa, a servizio di null’altra cosa che dell’esigenza di verità. Almeno quella che, dentro di noi, avvertiamo come tale. Pure il voler manifestare all’esterno le conclusioni di questa riflessione pura denota che si intende mantenere un rapporto positivo con gli altri umani. Anche se li si forza a dubitare delle loro tradizionali e rassicuranti certezze. Da parte delle forze politiche progressiste, dominate dagli slanci umanitari, e che, in estrema sintesi, potremmo definire “di sinistra”, si tende a dare una spiegazione banale del problema della gestione dei flussi di immigrazione. Da che mondo è mondo, si dice, i popoli migrano per cercare di migliorare la propria condizione di vita (si omette, però, di precisare che queste migrazioni storiche si risolvevano nel togliere la terra ai popoli che prima la possedevano; quindi, erano tutt’altro che pacifiche). Si continua: non è possibile, dal punto di vista della nostra sensibilità democratica, fermare gli immigrati con provvedimenti autoritari; in particolare, con la forza delle armi. Il ragionamento si conclude con: è inevitabile imparare a coesistere con l’idea che anche la nostra società sia destinata a diventare multi-etnica. Nella qual cosa i progressisti colgono soltanto vantaggi. La perdita della fisionomia culturale della propria Nazione è valutata alla stregua di un piccolo dettaglio; al quale si può rinunciare facilmente. Anzi, volentieri. Del resto se le scuole pubbliche sono le prime a non preoccuparsi di tramandare e di rafforzare la nostra identità culturale, cosa bisognerebbe aspettarsi? Questa banalizzazione, secondo me, va contrastata. Ci sono enormi questioni di portata storica; tutte collegate fra loro. Collegate nelle dinamiche reali; ma che andrebbero collegate anche nel pensiero. Perché nel pensiero tutto si tiene. Nel breve spazio di questo articolo io parlerò, dunque, del fenomeno della sovrappopolazione mondiale, del valore dell’uguaglianza (considerato, da molti, valore primario), della ideologia dei diritti umani universali. Quest’ultima ha due matrici storiche: gli Stati Uniti d’America e la Francia. Partiamo dalla sovrappopolazione. Nel 1910, qualche anno prima dell’inizio della prima guerra mondiale, la popolazione umana globale era stimata in un miliardo seicento milioni. Un secolo dopo, il 31 ottobre 2011, è stato proclamato “Day of Seven Billion” per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla circostanza che, a quella data, la popolazione globale aveva raggiunto la cifra di sette miliardi di esseri umani. Nei 100 anni presi in considerazione ci sono stati: due guerre mondiali, molto distruttive e con un alto bilancio di morti, lo sterminio sistematico degli Ebrei in Europa, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, alcune pandemie molto letali, come la Spagnola, tantissime guerre e guerricciole, carestie, siccità, eventi naturali distruttivi come i terremoti. Eppure, nei medesimi cento anni, la popolazione mondiale è cresciuta del 437,5 per cento. Si tratta di dati reali. Come già aveva intuito l’economista inglese Thomas Robert Malthus, nel suo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sugli sviluppi futuri della società (prima edizione 1798), la popolazione tende a crescere in progressione geometrica. Secondo calcoli empirici elaborati da Malthus, il quale allora studiava lo sviluppo demografico delle ex colonie inglesi in Nord America, che poi sarebbero diventate gli Stati Uniti d’America, la popolazione tende a raddoppiarsi (va moltiplicata per la costante 2) dopo un periodo di 25 anni. In contraddizione con le libertà di manifestazione del pensiero e di stampa che dovrebbero essere fondamentali nei Paesi del cosiddetto “Occidente”, i governanti e le maggiori forze politiche tendono a non dare rilevanza alla questione della crescita della popolazione mondiale. Ritengono non sia “politicamente corretto” far sapere all’opinione pubblica che quanto più alto è il numero degli esseri umani viventi nel pianeta, tanto più difficile diventa ogni tentativo di condurre politiche che, effettivamente, subordinino le esigenze dell’economia e dell’industria alla necessità di rispettare gli equilibri dell’ambiente naturale. Intanto, nell’anno 2022, la popolazione mondiale ha raggiunto la cifra di otto miliardi di esseri umani. Le persone chiamate a discutere il problema si trincerano spesso dietro una versione molto ottimistica delle dinamiche demografiche. In Occidente non ci sarebbero problemi, perché la tendenza che si riscontra è quella alla denatalità. Con riferimento alla Cina, si immagina lo stesso esito. Si ammette che l’Africa fa eccezione in negativo e, quindi, è fonte di preoccupazioni. È giusto preoccuparsi dell’Africa perché tanti Paesi africani hanno, al momento, tassi di natalità del tutto fuori controllo. Il problema, tuttavia, non si ferma all’Africa. Più un Paese è povero, arretrato, sottosviluppato, più tende a fare figli. Ciò contribuisce a rendere quel Paese ancora più povero, disgraziato, condannato al sottosviluppo. Papa Francesco pensa che la soluzione stia nel combattere la povertà. Gli economisti seri ribaltano l’impostazione e affermano che bisogna invertire la propensione alla natalità senza controllo. Solo così sarebbe possibile conseguire quei processi di accumulazione primitiva che consentirebbero di far fruttare al meglio le risorse (quelle poche) disponibili nel dato Paese. Pure Deng Xiaoping, per ottenere l’avvio dello sviluppo capitalistico della Cina, lo fece precedere dalla politica del figlio unico per ogni coppia. Mi riferisco alla politica di pianificazione familiare introdotta nel 1979. La quantità della popolazione mondiale si può ridurre in due modi. 1) La soluzione più razionale andrebbe individuata nella capacità di indurre tutti gli Stati del mondo ad impegnarsi in una efficace politica di pianificazione delle nascite, concepita con i criteri più equilibrati che sia possibile, in modo che tutte le etnie, tutte le nazioni, quindi tutte le culture storiche, abbiano continuità vitale, ossia possano continuare ad esistere. 2) L’alternativa sarebbe quella di non fare alcunché. In tal caso, si lascerebbe che la natura, violentata dagli esseri umani, segua il suo corso. Nelle aree urbane sovraffollate si manifesterebbero, sempre più frequentemente, malattie e pandemie, anche perché la carenza di acqua comprometterebbe sempre più le condizioni igieniche. Potrebbero scoppiare carestie per insufficienza di derrate alimentari essenziali. Una parte delle terre attualmente emerse potrebbe essere ricoperta dagli oceani, a seguito dello scioglimento dei ghiacciai polari, dovuto all’aumento della temperatura del pianeta. La progressiva riduzione delle risorse naturali essenziali e delle fonti energetiche renderebbe probabile l’insorgere di nuove guerre. Combattute da tutti contro tutti, allo scopo di ottenere il controllo delle ultime risorse naturali disponibili. La Chiesa Cattolica, ma lo stesso atteggiamento è presente nelle autorità religiose di altre grandi religioni storiche, preferirebbe di gran lunga la soluzione di non fare alcunché. Si tratterebbe di rimettersi docilmente alla volontà di Dio. Del resto, tutte le grandi tradizioni religiose hanno sempre contemplato l’evento della “fine del mondo” umano. Espressioni come “giudizio universale”, “segni dell’Apocalisse”, eccetera, si collocano in tale contesto. Per quanto mi riguarda, mi inchino davanti alla volontà dell’Altissimo; ma penso che, fino all’ultimo minuto utile in cui gli esseri umani continueranno a poter fare affidamento sulla loro intelligenza e sulle loro energie, non debba essere lasciato alcunché di intentato per salvare il mondo umano. Il Cristianesimo ha, sicuramente, dei grandi meriti storici. Mi limito a citarne due: a) la capacità di ingentilire gli esseri umani, cercando di contrastare la loro natura ferina e violenta; 2) il comandamento della carità, che, esercitato nei confronti del nostro prossimo immediato, contribuisce a rendere notevolmente migliore la nostra società. Seguo con attenzione e passione tutte le problematiche che hanno a che fare con la spiritualità; ma dissento in modo radicale dal Papa e dai cattolici in genere, i quali pongono come primo valore la creazione e la conservazione della vita. Attenzione, perché la vita umana, in certe sue manifestazioni, equivale a una pesantissima condanna. Ci devono essere condizioni minime affinché la vita umana sia degna di essere vissuta; altrimenti, la non-vita (il nulla) è centomila volte preferibile. Fra gli ideali del 1789, ossia della Rivoluzione francese, si mescolavano e si mettevano sullo stesso piano: uguaglianza, libertà, fraternità. In realtà, il valore primario, indiscutibilmente fondamentale, per i socialisti democratici e per i democratici radicali, è l’uguaglianza. Lo è tanto più per i comunisti e i marxisti. Tutta l’ideologia dei diritti umani universali, se ci si riflette, non è altro che una esplicazione del principio di uguaglianza. Ogni essere umano, indipendentemente dal luogo di nascita, dall’appartenenza ad una Nazione, e dalle proprie caratteristiche somatiche, avrebbe – in teoria – gli stessi diritti di ogni altro essere umano. Ciò a prescindere dai meriti, dai comportamenti individuali. Poiché l’ideologia dei diritti umani è stata concepita e materialmente scritta da autori degli Stati Uniti d’America, gli stessi americani tendono ad applicarla in modo meno rigido, meno logicamente conseguente, di quanto farebbero un socialdemocratico, o un comunista, europeo. Per alcuni l’idea dell’uguaglianza viene vissuta come un valore religioso. Sarebbe peccaminoso e malvagio metterla in discussione. Bisogna crederci e basta. Proprio studiando le critiche che Gaetano Salvemini e poi Norberto Bobbio (idealmente vicino a Salvemini, anche se molto più controllato di lui nei comportamenti e nei giudizi) mossero al pensiero di Benedetto Croce, ho capito perché sono liberale e non, ad esempio, socialista democratico, o democratico radicale. Il liberale, invece, non ritiene che l’uguaglianza sia il valore primario e fondamentale. Sa che non è possibile prescinderne del tutto; ma lo accetta (o lo subisce) entro limiti molto precisi. Il primo limite accettato è quello della parità di trattamento dei cittadini davanti alla legge (art. 3, primo comma, Cost.). Ciò vale, tuttavia, per i cittadini, ossia per coloro che sono titolari del diritto di cittadinanza. Secondo me, lo stesso diritto non deve valere con riferimento a persone, immigrate da Paesi terzi, i quali chiedano di entrare in Italia. Si è recentemente ricordato come la Polonia abbia accolto oltre un milione di profughi ucraini e dato a loro assistenza e protezione – anche se, in questo caso, non si sa se gli ucraini resteranno per un tempo lungo, o ritorneranno nel loro Paese. L’integrazione tra polacchi e ucraini è relativamente facile; fra loro ci sono legami storici, culturali e le stesse lingue, in parte, possono essere comprese dagli uni e dagli altri. Viceversa, se si immettessero in Polonia ingenti quantità di immigrati provenienti dall’Africa Subsahariana, si introdurrebbero dei corpi estranei, i quali nulla hanno in comune con il Paese di accoglienza. Chi vuole interpretare malevolmente le mie parole, mi accusi pure di razzismo. Io preferisco parlare di “assoluta estraneità culturale”. Un’estraneità che fa male, tanto agli ospitanti, quanto agli ospitati. Quando si legga l’articolo 79 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sembra che la “immigrazione illegale” e la “tratta degli esseri umani” siano valutati fenomeni molto negativi in sé, tanto da richiedere un “contrasto rafforzato” da parte dell’Unione. La norma, tuttavia, non è risolutiva. Così come, purtroppo, finora non è stata risolutiva la disposizione dell’articolo 77 del TFUE, riguardante i controlli alle frontiere. La regola è che non vi debbano essere controlli sulle persone nell’attraversamento delle frontiere “interne”. Viceversa, con riferimento alle frontiere “esterne”, vanno garantiti «il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento» (cfr. art. 77, primo comma, lettera b), del TFUE). Sostengo che tutti gli Stati membri dell’Unione Europea debbano avere il diritto di scegliere, periodicamente, il numero di lavoratori (e di studenti) che possono essere introdotti nel circuito dell’economia legale, a sostegno della produzione dello Stato medesimo. La scelta della provenienza è altrettanto importante della quantificazione del numero. Perché lo Stato deve avere il diritto di valutare i lavoratori di quali altri Paesi possano più facilmente integrarsi nel territorio nazionale. Senza alcun maldestro automatismo. Il secondo limite di accettazione del principio di uguaglianza riguarda il metodo democratico: meglio contare le teste, piuttosto che fracassarle. Dal punto di vista liberale, il voto deve essere preceduto da un libero ed intenso dibattito pubblico; che consenta ai cittadini elettori di definire il proprio orientamento. La democrazia liberale si risolve in una procedura formale (non sostanziale) che garantisce un esito non-violento. I soccombenti non vengono perseguitati, o puniti. Potranno rifarsi nella prossima consultazione elettorale, se ottengono più consenso. È stato detto che se gli dèi avessero esigenza di assumere decisioni comuni, utilizzerebbero il metodo democratico. Per gli umani tutto si complica: il suffragio universale determina esiti perversi e distorcenti la logica della rappresentanza, quando le espressioni di voto sono comprate con decisioni di spesa pubblica. Il terzo limite attiene a comportamenti che si traducono in costumi di civiltà: come mettersi disciplinatamente in fila per poter accedere a spettacoli cinematografici o teatrali, ad eventi musicali, a concerti, a musei, a pinacoteche, eccetera. Oltre i casi considerati, ogni forzatura egualitaria diventa fortemente controindicata. Il principio che i liberali contrappongono all’uguaglianza è quello della “libertà responsabile”. Gli egualitari ci invitano a farci carico di ogni essere umano, come se le risorse economiche per mantenerlo e per integrarlo si trovassero sotto gli alberi. È il risvolto demagogico dell’ideologia dei diritti umani. Il diritto “deve” prevalere sull’economia; il diritto “deve” prevalere sulla politica. Dal punto di vista dei diritti umani, “uno vale uno”, come teorizzavano i nostri Cinque Stelle. Così chi procrea irresponsabilmente potrà essere incoraggiato a farlo; tanto, ci sarà un occidentale, un europeo, un italiano, che dovrà farsene carico. Per continuare a espiare le colpe del colonialismo. Ho letto, nel Corriere della Sera, la vicenda di una famiglia siriana: padre, madre, una figlia di circa sette anni. Per assicurare un futuro migliore alla bambina hanno deciso di venire in Europa. Solo che, per chissà quale problema di ordine pratico, hanno preferito non tentare la rotta balcanica, ma si sono avventurati nel Mediterraneo, mettendosi nelle mani degli scafisti. Nel tempo, hanno avuto a che fare con più organizzazioni di scafisti e ciascuna ha richiesto il suo compenso. In totale, ai poveretti sono stati estorti settantamila euro. In più, la moglie è stata violentata. Io penso che se fosse veramente chiaro che l’Italia (per la sua parte) e l’Unione Europea non consentono l’immigrazione illegale, anzi la contrastano con tutte le modalità possibili, nessuno sarebbe disposto a farsi estorcere denaro da malavitosi e a correre rischi di ordine fisico, quando l’esito finale più probabile sia comunque quello del respingimento.