Un  gas esplosivo, l’anidride carbonica. Come tema, un evergreen. Esplosiva in senso metaforico, ovviamente, ma ha avuto effetti dirompenti. Sappiamo che nell’atmosfera ce n’è già  troppa, che va aumentando, e che più aumenta, più fa caldo: su questo c’è un (quasi) generale consenso. Conosciamo la ricetta che viene proposta per ritrovare u po’ di fresco: smettere di bruciare combustibili fossili – soprattutto il nefasto carbone – che con la loro combustione incrementano la CO2. E’ la ricetta fatta propria dall’ultimo G20  alla quasi unanimità. “Quasi”, in quanto Cina e India si sono dissociate: purtroppo, due o tre miliardi di umani (non solo Cina e India!) basano le loro prospettive di sviluppo e benessere in gran parte sull’energia fornita dal carbone fossile. E allora uno è obbligato a chiedersi; non esisteranno vie alternative? La tecnologia in effetti sta muovendosi da tempo in varie direzioni. Esiste una disciplina della quale si parla pochissimo, l’ingegneria climatica, le cui molteplici linee di intervento, ancora in embrione, sono viste da taluno come fantasie non realizzabili. E però, se c’è qualcosa che è difficile prevedere sono gli sviluppi futuri della scienza e della tecnologia, sviluppi nei quali potrebbe starci di tutto, persino la mitica “fusione nucleare” cara a Carlo Rubbia – non proprio l’ultimo venuto – quella della quale ogni vent’anni si dice “eh, ci vorranno altri venti anni….”. Pochi ci credono, eppure, se Jeff  Bezos ci ha messo dei soldi…..

In concreto, una via proposta dall’ingegneria climatica è trasformare l’anidride carbonica – in particolare quella prodotta coi processi industriali – da calamità in materia prima, associandole idrogeno per formare maggiori molecole a noi utili. La produzione dell’idrogeno da  acqua per via elettrolitica richiede però un’energia che – se non si vuole creare un circolo vizioso –  deve essere necessariamente fornita da fonti rinnovabili: ottimo utilizzo per quella energia, che è spesso di “qualità” mediocre (caso della eolica). Un’altra via  – già sperimentata – è immagazzinare  CO2 in sottosuolo, a prendere il posto del metano nei giacimenti esauriti di idrocarburi: altre esperienze sono in corso con la prevista opposizione  degli ambientalisti, che detestano qualsiasi intervento sul sottosuolo.  In conclusione, per l’una e per l’altra via le tecnologie esistono già: il problema tecnico principale oggi è quello di raggiungere una concentrazione sufficiente della CO2 “sequestrata”.  Esiste poi  una terza via ipotizzata dagli “ingegneri climatici”, ed quella di lavorare sull’albedo, cioè sulla riflettività del pianeta alla radiazione solare. Non l’ho menzionata perché ha ancora troppe incognite, non solo tecniche.

Ho scritto che servono “energie rinnovabili”, ma avrei dovuto scrivere <rinnovabili o comunque “virtuose”>, e qui entra in gioco il convitato di pietra, quello che, col dissenso di Emmanuel Macron, si vorrebbe escludere dal campo dei buoni, quello con la bandiera della transizione verde: l’energia nucleare che, come sappiamo, non comporta produzione di CO2.  L’energia nucleare non fa parte delle rinnovabili ovviamente : le riserve di minerale non sono illimitate, ma coprono molti decenni, da concedere alla  crescita delle altre tecnologie. Sul nucleare, però, pesano ancora sia il tabù di natura psicologica legato al suo primo utilizzo, quello del 1945, sia la preoccupazione di incidenti. Preoccupano meno i morti nelle miniere di carbone (solo in Cina, circa diecimila l’anno, secondo le valutazioni correnti).  

Ancora una noterella: il G20 ha sancito il principio che “chi più inquina, più paga”,  raccogliendo generale apprezzamento. Dio ce la mandi buona, considerato che in Italia abbiamo produzione zero di energia nucleare. Possiamo sperare che quel discorso resti sulla carta, come è già successo in passato. In caso contrario possiamo cavarcela o comprando “crediti” , oppure comprando energia pulita dalla Francia con la sua ventina di centrali nucleari. Un’ultima domanda: visto che l’ingegneria climatica si muove su temi di grandissimo rilievo, perché se ne parla così poco a tutti i livelli? Fornisco una mia risposta, assolutamente fantastica. Si tratta di tecnologie che, se mai diventassero operative su larga scala, ci risparmierebbero dei sacrifici, e  proprio questo è il punto: l’Occidente ha peccato e deve espiare, e la setta dei Flagellanti è forte, molto forte. Stay woke!