Trovo fastidiosa la dilagante lagna sui suicidi nelle carceri. E non perché io sia particolarmente malvagio: è perché alla lagna non trovo associate delle proposte di rimedio adeguate.
La causa viene spesso attribuita al sovraffollamento, che però non è il problema n. 1: ridurlo è solo un palliativo, come cercherò di far discendere dalla mia argomentazione. È decisamente un problema antico, se Camillo Cavour ne parlava in un discorso parlamentare del 1855. Cito: “Le carceri sono in condizioni pessime, e l’erario non è in grado di affrontare il problema. […] Con la soppressione di un certo numero di corporazioni religiose, voi potreste […] avere caserme per soldati, ospedali per i militari e in molte province, e specialmente in Sardegna, potreste avere carceri”. Chiaro che al giorno d’oggi la soluzione del 1855 non è praticabile: inefficace, e poi creerebbe problemi nel rapporto con la Santa Sede. No, non è la via.
Servono idee alternative. Abolire il carcere? Si può fare, però datemi un porto d’armi, perché provvederò io stesso alla mia protezione. Sostituire la pena carceraria con una sanzione pecuniaria? Sì, però i ricchi potranno delinquere liberamente, e non è proprio ciò che la moderna società persegue.
Se alla lagna corrente non trovo associata la proposta di soluzioni concrete, come dicevo pocanzi – forse è perché soluzioni non ne esistono. Forse, e però…
Butterei lì alcune riflessioni. La prima: la situazione del carcerato è esistenzialmente orrenda. Privazione della libertà, più disagio, più privazioni di ogni genere, più senso di umiliazione. Che i soggetti più deboli – o forse i più illuminati – trovino la soluzione nel suicidio, è tutto tranne che assurdo, ed è sempre successo, anche se non con la frequenza attuale.
La seconda riflessione riguarda la funzione o, meglio, le funzioni, della pena (latino poena). Checché ne pensino le anime belle, la prima funzione della pena è afflittiva, come dice la parola stessa: il Sistema punisce chi non ne accetta le regole. La seconda funzione è utilitaria: metto il colpevole in galera, perché, quando è dentro non violerà le regole e non costituirà una minaccia; e quando uscirà, magari avrà perso le cattive abitudini. La virtù è anche un’abitudine, no? Lo diceva niente meno che Aristotele. La terza funzione è “rieducazione”: gli intellettuali ci credono o fan finta di crederci, a differenza dell’uomo della strada – quello che vota Meloni, per intenderci – il quale dice “quando escono sono peggio di quando sono entrati”.
Arrivo alla mia proposta, mettendo in chiaro che l’obiettivo non è “eliminare” il suicidio in carcere (proposta che, come bla bla, metterei allo stesso livello di “cancellare la povertà”): è farne un evento raro, riportandolo alla dimensione antica. La proposta parte da un interrocativo: quale è l’elemento principe che differenzia la situazione esistenziale dei detenuti di oggi da quelli di ieri? Rispondo: è che quelli di oggi sono tutti in crisi di astinenza. Assistenza da che? Ma dallo smart phone, ovviamente! In prima approssimazione, tutti siamo dei drogati dello smart phone. La pena deve essere afflittiva, e tuttavia la società accetta dei limiti all’afflizione che, come suol dirsi, non può avere carattere di tortura. Ebbene, la privazione dello smart phone ha carattere di tortura. È prevedibile che, in questo senso, presto si muova l’ONU con la sua Commissione per i Diritti Umani (quella la cui presidenza è spesso affidata a paesi che sui Diritti Umani sono all’avanguardia, come l’Iran).
E allora, eccola la mia proposta: diamoglielo, lo smart phone!!
Vediamo la situazione che si prospetta. I detenuti passerebbero le loro giornate on line chattando, impegnandosi in videogiochi, messaggiando e guardando porno. Situazione ancora triste, magari, ma non disperante! Pochissime telefonate esterne dato che, come è noto, nessuno telefona più (solo messaggi su whatsapp). È chiaro che non ci sono solo vantaggi, e posso anticipare un’obiezione: i boss useranno la nuova libertà di comunicazione per organizzare altri crimini. E però – questa la contro-obiezione – da fatti di cronaca e dalla vox populi, si deduce che i boss riescono già a comunicare con i loro adepti: le vie del Signore sono infinite. Ultimo vantaggio: la proposta non incide sul bilancio del Ministero di via Arenula.
E dunque: provideant consules.