L’altro giorno parlavo al telefono con una inviata che è stata, nei primissimi giorni del coronavirus, nelle zone del Basso Lodigiano. Ora sta scontando la pena della quarantena a casa sua, vicino a Milano. E’ molto serena, è negativa ai test, sta bene, aspetta che si concludano i 15 giorni di reclusione domestica per tornare subitissimo al lavoro. Mi ha detto una frase che è un po’ l’essenza di questa professione: mi hanno mandata lì, che dovevo dire? Noi andiamo, facciamo il nostro lavoro, ci piace, non facciamo domande.
Ecco, questo fanno i giornalisti. Vanno, vedono, raccontano. E qualche volta si devono fermare. Reporter sans frontieres ha registrato 49 giornalisti uccisi nel 2019 in tutto il mondo, mentre 400 sono attualmente in carcere. Il coronavirus non avrà effetti così devastanti come una guerra, ma è comunque una frontiera. Qui, a casa nostra. A pochi chilometri dalle nostre redazioni, a un’ora di auto, il cronista è lì a cercare notizie, farsi raccontare quello che accade, fotografare quello che gli occhi vedono. Un terremoto, una alluvione, un incendio, una mareggiata che devasta le coste, le slavine che si abbattono sui paesi. Sono lì con una telecamera, un collega fotografo, un taccuino, un computer, lo smartphone in mano perché il caposervizio ti cerca mille volte. Gli inviati registrano e le redazioni assemblano quella mole di lavoro in un tempo che è sempre pochissimo, nervoso e assillante. Questo fanno i giornalisti.
C’è per contro, in giro sui social, un sacco di gente che minaccia, inveisce, insulta il lavoro dei giornalisti. Arrivano querele, insulse nella sostanza, ma minacciose nei contenuti. Sotto accusa c’e tutto: i titoli, gli articoli, le opinioni, addirittura la scelta e la posizione sulla pagina delle fotografie o il montaggio di un servizio televisivo.
E’ un mondo dove i dementi hanno trovato casa, in mezzo ad altri che non lo sono, ma che involontariamente li hanno accolti. C’è persino chi invita con toni apocalittici a spegnere la televisione e non leggere i giornali “così guarirete dal coronavirus”. Sono dei pazzi che riempiono i loro deliri di commenti compiacenti, entusiasti e sempre velenosi verso chi fa informazione.
La causa è persa, me ne rendo conto. Un giorno saremo senza televisione, giornali, internet e il virus sarà ancora lì. Ad aspettare i microcefali che invitano la gente a non informarsi più. Il corona li riconoscerà subito, perché saranno lì intenti a girarsi i testicoli non avendo niente da leggere.