E’ il centenario della nascita di Mario Rigoni Stern e i centenari dovrebbero essere l’occasione per una verifica critica piuttosto che una celebrazione. Il centenario della nascita a non molti anni dalla morte, avvenuta nel 2008, dello scrittore di Asiago forse non consente il distacco necessario che ci sarà invece sicuramente quando si compirà il centenario della morte. Mario Soldati che lo conobbe molto bene (anche al premio Nonino) e che Rigoni Stern definiva il “grande Mario“ mentre, parlando di sé, si considerava il “piccolo Mario”, aveva scarsa considerazione dello scrittore, mentre riteneva l’uomo Rigoni un “commensale molto piacevole“ : così mi disse testualmente una volta. Evito di citare giudizi troppi critici sullo scrittore perché Soldati non li scrisse ma si limitò a confidarli all’amico. Nel 1999 (anno in cui era mancato in giugno Soldati) Rigoni ebbe il Premio “Pannunzio”, in parte perché in quell’anno eravamo un po’ a corto di candidati e subimmo una certa pressione da parte di un giornalista che avrebbe desiderato interferire nel Premio, che la presidente Alda Croce riprese subito in mano con l’energia di cui era capace. Alda Croce, che pure era sensibilissima ai temi dell’ambiente come dimostrano le sue costanti e coraggiose prese di posizione, riteneva che Rigoni Stern fosse troppo povero di cultura, esageratamente schierato in politica ,ma soprattutto non tollerava che fosse un cacciatore. Alda si era battuta sempre per la tutela degli animali e ritenne che quell’essere cacciatore fosse incompatibile con lo schierarsi a tutela della montagna e dell’ambiente in generale . Infatti non venne a consegnargli il Premio e fui io a farlo al suo posto ,davanti all’intero stato maggiore della casa editrice Einaudi e ad una radical- chic come la contessa Romilda Bollati Bisaglia che fece la sua unica apparizione al Centro “Pannunzio” in quella circostanza. Chiacchierai amabilmente tutta la sera con Rigoni e posso confermare che aveva ragione Soldati. Era davvero piacevole ascoltarlo e parlare con lui. Fece un breve discorso finale in cui si limitò a ringraziare per il Premio e disse qualche frase di rito. Forse aveva colto la distanza di idee che c’era tra noi, al di là’ della reciproca cortesia. In effetti era stato del tutto estraneo al gruppo del “Mondo“ di Pannunzio, per non parlare dell’ambiente crociano di Napoli dove noi ,a partire da Mario Soldati, avevamo le radici spirituali più profonde. Ho letto qualche ricordo che è stato scritto sui giornali per il centenario di Rigoni e mi sembra che il tono celebrativo e la tentazione dei commemoratori di autocelebrarsi (dicendo persino che mangiavano il miele che lui produceva e che ricevevano in dono a Natale)abbia impedito una riflessione critica adeguata. Quando si citano gli aneddoti ,non si fa un’opera utile ad aiutarci a capire. Io credo che al di là dei suoi meriti (durante la ritirata di Russia e come internato militare) balzi fuori come fosse sbagliato il giudizio di Primo Levi che lo considerava uno dei maggiori scrittori italiani novecenteschi. Non lo è mai stato in vita e a maggior ragione non lo è oggi. Manca dello spessore culturale necessario ad un grande. Non basta scrivere autobiograficamente di un evento eccezionale come la guerra in cui partecipo ‘ come sergente maggiore o descrivere i boschi degli Altipiani di Asiago ,per essere uno scrittore destinato a restare. Potrà, al massimo ,occupare un posto modesto nella letteratura italiana del ‘900. Io sarei tentato a paragonarlo al montanaro Mauro Corona ,forse più ruspante e grossolano di Rigoni ma non molto diverso, se si eccettuano alcuni particolari, tra cui la tentazione di abusare a volte dell’alcool. C’è stato chi ha definito Rigoni Stern il nonno di Greta Thunberg, un giudizio che ho ritenuto del tutto sbagliato e persino offensivo. Greta non ha ereditato nulla da questo nonno che hanno voluto affibbiarle. Forse Rigoni Stern ,se fosse in vita, sarebbe orgoglioso di vantare una nipote così nota, ricevuta persino dal Papa e dalle Nazioni Unite. In effetti, ritengo che il montanaro che conobbe da vicino la sofferenza della guerra e della prigionia e che fece per tanti anni l’impiegato al catasto di Asiago, avesse una serietà morale che l’arrogante ragazzina che si ritiene la salvatrice del mondo, non credo possegga.
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