Circa la riforma costituzionale, proposta dal governo, mi sono espresso in modo molto critico, mettendone in luce i gravi rischi in Riforma costituzionale Meloni-Casellati: sarà dittatura?

Dal momento che il dibattito politico si è focalizzato sulla figura del Presidente della Repubblica, vi sembra doveroso approfondire questo aspetto che ho prima trascurato.

Il Presidente della Repubblica non esercita alcuno dei poteri fondamentali (legislativo, esecutivo, giudiziario) che Montesquieu ha identificato come base della democrazia. In altri ordinamenti non esiste (la funzione di capo di stato è fusa con quella di capo di governo: repubblica presidenziale) o ha poteri molto limitati (cancellierato tedesco). Nell’ordinamento italiano i padri costituenti hanno visto nel Presidente della Repubblica una certa continuità con la figura monarchica precedente e gli hanno attribuito funzioni di controllo (sul parlamento: costituzionalità delle leggi; sul governo: nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri) e di garanzia. Con l’intento di creare un ulteriore bilanciamento rispetto al potere esecutivo. Di fatto, nel corso dei decenni, ha esercitato un potere residuale, di ultima istanza, colmando i vuoti lasciati dal malfunzionamento delle altre istituzioni. Ogniqualvolta ha avuto ampia discrezionalità nel decidere se sciogliere le camere o nominare un governo tecnico (o balneare, di transizione, del presidente, etc.) è stato il deus ex machina della politica italiana, a fronte del fatto che il parlamento non era in grado di darsi una maggioranza e di formare un governo. La riforma si pone proprio l’obiettivo di rendere impossibile il ripetersi di tali situazioni, quindi andrebbe a limitare i poteri del Presidente della Repubblica. Sì, ma sono poteri eutrofizzati, ingigantiti, ben oltre i desiderata dei padri costituenti. Nel dibattito emerge anche la critica di chi sostiene che la riforma sia quasi un dispetto personale a Mattarella. Quando pensiamo ad una riforma di questa portata dobbiamo alzare lo sguardo ed immaginare gli effetti che produrrà tra cinquanta o cento anni, non ai personalismi di oggi. Peraltro proprio Mattarella nel 2022 si è allargato il meno possibile, sciogliendo il parlamento e mandando gli italiani al voto in una stagione anomala. Il sottoscritto avrebbe invece scommesso su un governo tecnico fino alla primavere successiva, come avrebbero fatto tanti altri suoi predecessori.

In conclusione, se questi poteri residuali ne escono ridotti, poco male: non è qui il problema, non sono questi i rischi della riforma. Che il parlamento abbia una maggioranza netta, che il governo sia stabile, che il presidente stia semplicemente ad osservare dal colle (o sia abolito del tutto), non mina la democrazia. L’anomalia della riforma è che l’elezione diretta del premier (e non della lista), contestualmente ad un forte premio di maggioranza sulle camere, faccia venir meno la separazione dei poteri esecutivo e legislativo. Questo è il rischio da scongiurare!