Personalmente non rimpiango quel decreto, convinto come sono che l’obiettivo dell’autore fosse “spingere” la teoria gender assai più che tutelare gli omosessuali (i quali sono già tutelati dalle leggi dello Stato). La vicenda, comunque, si presta ad alcune considerazioni. Nel mondo moderno chi vince le guerre di immagine vince le guerre tout court. Capitò in Vietnam quando autorevoli intellettuali erano convinti che il popolo vietnamita combattesse “con le frecce contro i calcolatori”. Di quella formidabile macchina da guerra che era l’esercito nordvietnamita col supporto dei paesi fratelli non avevano apparentemente mai sentito parlare. E sappiamo come finì. C’è una comunità che la guerra dell’immagine l’ha vinta irreversibilmente, ed è la comunità lgbt. All’avanguardia gli americani (come sempre quando si tratta di modernità): Berkeley propone una laurea (nientemeno) in “Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Studies”. A Torino, alla manifestazione Gay Pride le due università cittadine sono rappresentate ufficialmente. Scrissi ai due rettori contestando quella scelta. Non vedo perché a egual titolo – commentavo – le università non dovrebbero essere ufficialmente rappresentate al convegno dei pittori astratti o dei nudisti o dei bikers. Ma non mi risposero. In realtà, la spiegazione c’è. Nel mondo occidentale, la comunità lgbt rivolge alla società due diverse accuse, che però tende a mettere insieme – furbescamente – in quanto entrambe denunciano discriminazione. La prima è rivolta alle istituzioni, la seconda alla società stessa, e cioè agli umani che la compongono. Vediamole da vicino? La prima non si giustifica perché, tranne forse in qualche scuola cattolica o convento, una discriminazione non esiste più. A meno che tale non si consideri il divieto di adottare un bambino, un divieto la cui abolizione però, ad avviso dei più, sarebbe in conflitto coi diritti del bambino (nel nostro mondo; non so se anche nel migliore dei mondi possibili). A me sembra che su questo terreno, se si mette in piedi una competizione di diritti da rivendicare, ne conosco almeno altri due che non calpestano diritti altrui. Uno è la poligamia (compresa naturalmente la poliandria). Un altro è l’unione incestuosa (purché con fecondazione eterologa, per non mettere a rischio il diritto del nascituro ad una sana e robusta costituzione). Con questo “caveat”, che danno fa uno che sposa sua sorella? Per la seconda accusa, il discorso è più complicato. Verso l’omosessualità c’è sempre stata, in ambito cristiano, una censura di natura religiosa. Da miscredente, la disapprovo, ma nessuno può impedire al Cristiano di pensare e dire “caro gay, tu andrai all’inferno perché sei un peccatore”, mettendosi contro anche papa Bergoglio. Poi c’è stata sempre, nel nostro mondo, una certa pre-cristiana tendenza al dileggio del “catamite”: ne testimoniano Catullo, Svetonio, Marziale, Giovenale. Ma c’è una differenza importante: le “Istituzioni” hanno ciascuna un nome e un numero di telefono: al caso, uno sa con chi prendersela, mentre “la gente” non ha ne nome né numero di telefono. E però tutti questi atteggiamenti e comportamenti – il cristiano, il pre-cristiano, l’“istituzionale” – adesso vengono etichettati come “omofobia”, e dovrebbero giustificare leggi speciali, ed essere compensati con privilegi, chicche e balocchi …. Mmm
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