Ho ascoltato con grande interesse un breve stralcio della conferenza tenuta a Torino il 9 febbraio dal prof. Quaglieni sul Giorno del Ricordo. Egli affermava che Mario Pannunzio, dalle colonne de “Il Risorgimento Liberale”, fu il primo italiano a denunciare le foibe e il trattamento riservato agli italiani giuliano-dalmati. Aggiungerei che non sarebbe stato possibile altrimenti, visto che tra gli stretti collaboratori di Pannunzio ritroviamo l’intellettuale e patriota risorgimentale Carlo Antoni, che a vent’anni aveva disertato dall’esercito austriaco per combattere nella quarta Guerra d’Indipendenza – nota anche come Prima Guerra Mondiale – dalla parte del Regno d’Italia. Atti che oggi sembrano fantasiosi almeno quanto quelli delle favole del “C’era una volta…”, azioni che risultato incomprensibili in un mondo sempre più fluido e sempre più impegnato a cancellare il proprio passato. Eppure, la famiglia di Carlo Antoni si sentiva italiana nel XIX secolo – ben prima dell’avvento del fascismo – sebbene fosse originaria di quei territori collocati tra Trieste e la Slovenia. E allo stesso modo la pensavano persino i partigiani comunisti italiani, impegnati nella Seconda Guerra Mondiale. Di altra opinione erano, ovviamente, i titini. Ma queste precisazioni sembrano ora adatte solo a chi abbia il tempo di leggere i libri di storia, come quelli di Raoul Pupo. Attualmente, prevale una sommaria e grossolana separazione tra fascisti (cioè tutti quelli che erano nati da Trieste in là, ma parlavano italiano) e antifascisti (tutti gli altri). Per fugare ogni dubbio, specifico che Carlo Antoni fu un attivissimo antifascista, tanto che ospitò nella propria casa il CLN. Ebbene, il giorno del Ricordo, che dovrebbe aiutarci a conoscere meglio i fatti che seguirono il termine della guerra e la firma della Pace di Venezia, sembrerebbe diventato, invece, il Giorno del Ricordiamoci che “agli italiani gli sta bene”, come se fossero stati tutti dei criminali e pericoli pubblici numero uno. Nella solita semplificazione manicheistica, tipica dei nostri tempi, ci si dimentica che quegli italiani vennero esclusi dal voto del 2 giugno 1946, come sudditi di serie B, sebbene le regioni oltre l’Isonzo non fossero state ancora cedute alla Jugoslavia; che i loro beni vennero confiscati e consegnati agli Alleati per pagare i debiti di guerra di tutta l’Italia; che i titini uccisero anche i partigiani comunisti italiani che, allora, avevano ancora un’idea di Patria; che quegli italiani se ne dovettero andare dalle loro case, divenendo esuli, generalmente malaccolti dai loro compatrioti; che Trieste tornò italiana nel 1954; che il muro di Gorizia venne abbattuto solo nel 2004, molti anni dopo il Muro di Berlino. Purtroppo, la propaganda anti-italiana è sempre molto attiva, sfoderando all’uopo documenti che dimostrino quanto gli italiani d’Oriente fossero tutti dei colpevoli da condannare. Eppure, si dovrebbe rammentare che le ricostruzioni storiche hanno bisogno di anni di studio, di ricerca archivistica e che non è sufficiente aver letto un post per comprendere la Storia. Sarebbe opportuno ricordare anche che i 350mila esuli istriani, fiumani e dalmati non stavano scappando dal paradiso comunista, che un paradiso non è mai stato. E che quelli furono gli unici italiani, che si trovarono a vivere a stretto giro prima l’oppressione fascista e poi quella di segno opposto. A volte sarebbe opportuno ricordarsene.
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