Asti ha tributato nel corso degli anni ricordi costanti a Giorgio Faletti mancato immaturamente dieci anni fa: gli vennne dedicata la  biblioteca  astense (con un  atto di  un certo coraggio proprio nella città che vive nel culto quasi esclusivo di Vittorio Alfieri) e una lapide sulla casa natale in cui laconicamente Faletti è stato definito “artista eclettico”, mentre forse si intendeva poliedrico. Eclettico appare infatti riduttivo per lui che non si limitò a miscelare diversi elementi ma riuscì ad avere uno stile  inimitabile come attore e anche come scrittore. Proprio nel decennale della morte il ”Corriere della Sera” insieme alla Nave di Teseo pubblicano  “Io uccido” che fu uno dei suoi più grandi successi. La vedova sta programmando iniziative importanti che consentiranno di ricordarlo degnamente. Finora il suo mito è rimasto quasi solo circoscritto ad Asti, lui che ironizzava con finezza sull’essere della provincia astigiana,esattamente di Passerano Marmorito.

La comicità piemontese è cosa abbastanza rara, se escludiamo Macario e Campanini che sono gli unici che ebbero una rilevanza nazionale. Faletti soprattutto per merito di Antonio Ricci e di Drive In, ebbe un successo nazionale strepitoso dopo anni di impegno anche nel cabaret. La sua non era una comicità volgare giocata sui doppi sensi ma un modo immediato e alla sua maniera raffinato e colto di suscitare il riso. In televisione riusciva sempre a divertire. Già allora far ridere era un’impresa molto ardua ,a meno dell’ilarità involontaria suscitata da persone molto serie che non iintendono provocare affatto il riso. Una volta parlammo anche di questo tema e le sue battute su questo tipo di comicità involontaria furono esiliranti: peccato non fosse sul palco,ma in un piccolo caffè di Albenga dove gli avventori non poterono  non ridere di gusto. Era già ammalato,ma non aveva perso la sua personalità frizzante e libera. Non era impegnato politicamente come altri,ricordo che lo paragonai a Bruno Lauzi e fu felice di questo accostamento.

Questa capacità di essere attore, paroliere, scrittore da’ il senso di un’opera che ancora oggi è difficile da considerare nel suo insieme.

Va ricordata la sua canzone “Signor tenente” proposta nel 1994  a Sanremo che resta una rara testimonianza di alto civismo in ricordo delle stragi mafiose di Capaci e Via d’Amelio e una denuncia delle condizioni di lavoro delle Forze dell’Ordine italiane e in particolare dei Carabinieri in un periodo in cui era ancora viva l’eco delle stragi degli anni precedenti che sembrarono scuotere dalle fondamenta la Repubblica.

A fronte di tanti cantautori che hanno esaltato la trasgressione, la contestazione, la droga e il sesso estremo, ripudiando ogni regola morale, la figura di Faletti brilla nella sua ilarità sempre piacevole, bonaria e corretta, nella sua moralità di uomo libero e di artista non artificioso. Faletti resta un grande piemontese e un grande astigiano, figlio di una terra in cui la fatica dei campi è la cifra della propria vita come diceva un altro grande astigiano, Davide Lajolo.