Eccoci finalmente alle prese con una nuova tornata referendaria. Erano alcuni anni che non se ne aveva esperienza. Trattasi di referendum abrogativi (art. 75 Cost.). Non di referendum costituzionali (art. 138 Cost.), come quelli del ’16 (fine governo Renzi) e del ’20 (taglio numero parlamentari). Ma per alcuni decenni in Italia abbiamo avuto consuetudine con questo strumento di democrazia diretta, presentato spesso come un contrappeso civile al potere di palazzo, la voce dei cittadini contro gli eccessi della partitocrazia. E tornano alla mente tutti gli aspetti (e anche le distorsioni) del fenomeno referendum, del quale nel bene e nel male fu protagonista (almeno nella prima fase) l’anima del partito radicale Marco Pannella. Campagne referendarie scandite e segnate dalla raccolta delle firme da parte dei comitati promotori, dagli interventi della Consulta, dalla caccia al quorum, dalla spiegazione agli elettori del non semplice meccanismo e significato del sì e del no, dalle grandinate di quesiti, dai quesiti astrusi e incomprensibili financo agli addetti ai lavori (e sono quelli che hanno portato alla disaffezione dell’elettorato)… Inizialmente i referendum hanno davvero toccato grandi questioni civili e famigliari, nelle quali lo schieramento politico aveva poca rilevanza, e poteva essere giusto consultare direttamente i cittadini. Poi non è più stato così. In alcuni casi i referendum hanno davvero inciso sulla politica del Paese con scelte rilevanti di indirizzo. Ma in molti casi non è stato così. E lo strumento è decaduto anche nella considerazione pubblica. Il 12 giugno si vanno a sottoporre al giudizio del popolo sovrano cinque questioni inerenti all’amministrazione della Giustizia, branca dell’amministrazione pubblica, anzi del potere dello Stato, non priva di annose inefficienze. Quattro quesiti si riallacciano a questioni di principio di un certo rilievo, con le quali peraltro è difficile non essere d’accordo. Uno, quello sul CSM, lascia francamente perplessi sia per l’insito tecnicismo sia per l’importanza relativa e discutibile. I sondaggi parlano attualmente di un 30% dell’elettorato intenzionato a recarsi alle urne. L’esperienza ci dice che il richiamo delle urne porta poi ai seggi sempre qualche punto di partecipazione in più rispetto alle previsioni. Inoltre la coincidenza con le amministrative in molti comuni dovrebbe favorire il voto referendario. Tuttavia rimane la questione di fondo: riusciranno i quesiti e le tematiche proposte, in queste poche settimane che restano, a farsi strada nell’interesse dei cittadini votanti? Bisogna riconoscere che questa tornata referendaria non cade in un periodo favorevole per il coinvolgimento nel dibattito politico e civile. I media sono monopolizzati da altre questioni internazionali e l’opinione pubblica si divide tra l’attenzione a questi grandi temi e il ripiegamento ormai epocale sul privato, sul personale, a discapito dell’impegno pubblico e sociale.