L’anno scorso ci siamo chiesti, su questa testata, Quale futuro per le librerie? Giungendo alla conclusione che, per sopravvivere alla concorrenza delle vendite online, i negozi si devono reinventare, trasformandosi da rivendite a fornitori di servizi. Guardando al rapporto annuale AIE (fonte dei dati, rielaborati dall’autore), relativo al 2020, vediamo come la situazione si sia nel frattempo modificata. Teniamo presente che i numeri sono da valutare con molta cautela: l’anno della pandemia e dei lockdown, contiene sia tendenze strutturali, sia cambiamenti contingenti, destinati a riequilibrarsi, e non è facile distinguerli. La prima cosa che balza all’occhio è l’incremento globale del settore, tra il due ed il tre percento che, se da un lato è stato penalizzato dalle chiusure dei punti vendita, peraltro parziali (più penalizzati i centri commerciali e le catene che le librerie indipendenti), dall’altro ha beneficiato della “reclusione” di italiani, privati di tante altre forme di intrattenimento. Vi è la sostanziale tenuta del cartaceo, sia come valore complessivo, sia come numero di copie, mentre abbiamo un incremento del 36% degli ebook ed un raddoppio degli audiolibri, pur residuali come porzione di mercato. Da considerare che questi ultimi sono offerti con formule di abbonamento, quindi non è dato sapere quante copie vengono acquistate. Rilevante il fatto che gli ebook, se in valore rappresentano il 6% delle vendite, in termini di copie sono al 13%, in quanto il prezzo medio (ricavato) è meno di metà. Il rapporto inoltre sottolinea come le vendite on line siano passate dal 27% al 43%, su base annua, ma con un picco nei primi trimestri, poi in parte riequilibrato. Le tendenze sono quindi di tenuta del settore, aumento degli ebook, crescita degli audiolibri e spostamento delle vendite verso l’online, fuori dai canali fisici. Rimane il dubbio su ciascuno di questi fattori si manterrà stabile nel tempo o rientrerà, con il concludersi dell’eccezionalità pandemica. È presumibile che nel 2021 ed ancor più nel 2022, potendo ricominciare a viaggiare, a frequentare ristoranti, concerti, teatri, cinema, etc. gli italiani leggeranno un po’ meno, quanto non è dato sapere. Così come non è chiaro quanto l’acquisto a distanza e la lettura dematerializzata siano ormai abitudini che il lockdown ha contribuito a consolidare. Per cercare di capire i possibili sviluppi dello scenario editoriale, valutiamo quali sono i modelli di business che internet offre e come si sono evoluti altri settori di intrattenimento:

  1. Vendita di singolo prodotto. La base dell’economia classica, acquisto un bene e pago il valore del bene che ho acquistato. In libreria si fa così, come su Amazon o IBS.
  2. Gratuito, con pubblicità. Da decenni è il modello della televisione generalista, poi sposato dai social network (Google, Facebook, Youtube, …). Già utilizzato da tempo, anche senza pubblicità con donazioni private a scopo sociale, per libri che non hanno più diritto d’autore, progetto Gutenberg, progetto Manuzio (www.liberliber.it).
  3. Gratuito, con vendite in app. È il modello di molti videogiochi, in alcuni casi sono pay to win, gli acquisti sono fondamentali per vincere o per semplificarsi di molto la vita, in altri non influiscono sul gioco ed hanno un valore sono estetico, di contorno (Fortnite, Browl Stars, …).
  4. Abbonamento (flat). È la formula che da sempre hanno i club privati, o le palestre. Pago un’iscrizione annuale ed usufruisco a piacimento dei servizi messi a disposizione. Come in un ristorante all you can it. Così sono proposti molti servizi in streaming.

Prima fu la musica, si è sempre venduta su supporti fisici (LP e CD peraltro si vendono ancora, anche se sono diventati nicchie per appassionati), poi con la dematerializzazione, la si inizia a distribuire gratis online: nasce Napster nel 1999, ad opera di Sean Parker. Le case discografiche gli fanno causa e lo fanno chiudere. I tempi non sono maturi. Oggi la musica si ascolta gratis con pubblicità su Youtube o Spotify o senza, pagando un abbonamento, sempre su Spotify (di cui Sean Parker è uno dei principali investitori). Due o più modelli possono quindi coesistere, anche sulla stessa piattaforma. Quindi è la volta del cinema. Se ne è sempre fruito nelle apposite sale, poltroncine come supporto fisico, quindi a domicilio con VHS e DVD. In un secondo momento i diritti sono ceduti alle televisioni generaliste, modello 2. Oggi con, la dematerializzazione ed una banda di trasmissione che lo consente, si guarda in streaming. Le piattaforme stano passando, dal modello di vendita semplice, on-demand, all’abbonamento flat. Netflix ha iniziato la propria attività nel 1998 distribuendo DVD, con la mission di portare il film a casa del cliente: poi è cambiata la tecnologia, non la mission, oggi continua a portare i film in casa del cliente, anche senza supporto fisico. Altri player ne copiano il modello, Disney, sempre in abbonamento, sta mettendo sulla sua piattaforma gli enormi archivi a sua disposizione, dai propri film, ai Pixar, ai Marvel, alle trenta stagioni de I Simpson (Fox). Altre piattaforme meno prestigiose, non avendo la massa critica sufficiente, optano per il modello 2, gratis con pubblicità, volendo fare un esempio VVVVID, piattaforma italiana nata nel 2014, offre un’ampia raccolta di anime e non solo. E i libri? Alle ormai ritrite considerazioni sul piacere fisico del maneggiare il libro come oggetto, del sentirne fruscio e profumo delle pagine, che mi convincono sempre meno, man mano che le centinaia di volumi di fronte a me, si impolverano ed ingialliscono sempre più, vi chiedo: quanti leggono ancora i quotidiani in formato cartaceo? Ha un senso ecologico, oltre che economico, stampare tonnellate di carta e gettarle la sera stessa? Qualcuno si è preso la briga di calcolare la carbon foot print della carta stampata? La tecnologia per dematerializzare i libri esiste da tempo, come dimostrano le già citate biblioteche gratuite online. Il problema è, semmai, garantire il diritto d’autore, sulla base del quale il Progetto Gutenberg è stato oscurato in Italia dalla Procura di Roma. Siamo nella logica del modello tradizionale di vendita di ogni singolo prodotto, di cui garantire la non contraffazione. Gli ebook devono quindi essere protetti da un formato proprietario: Amazon richiede l’acquisto del dispositivo fisico Kindle, IBS si affida alla protezione DRM di Adobe Le due soluzioni sono tra loro non compatibili, ponendo un problema di concorrenza per il mercato, non nel mercato, ricordate i differenti standard VHS e Betamax?. Per gli audiolibri sono invece disponibili piattaforme in abbonamento, ad esempio Storytel svedese o Audible di Amazon, secondo il quarto modello, sulla falsariga di quanto visto per i film. A questo punto sorgono spontanee alcune domande: perché molti piccoli editori non vendono in formato elettronico i propri prodotti? Il fatto che il gestore della piattaforma agisca da monopolista, o quasi, e pretenda per sé la fetta maggiore degli introiti, lasciando agli editori le briciole? Se chiede il 40% del prezzo di copertina su un libro fisico ed anche di più su un ebook, questo lascia spazio alla creazione di piattaforme e standard alternativi. Affrontando gli stessi problemi a proposito del cinema, (Quale futuro per il cinema?) abbiamo ravvisato un rischio di limitazione della concorrenza, dato dalla posizione predominante di Netflix, non solo sulla piattaforma di distribuzione, ma soprattutto sulla produzione. In questo caso, sembra più contenuto il rischio che Amazon entri direttamente in competizione come editore. Ancora, cosa frena gli editori dal mettere in rete, con formule di abbonamento, archivi sterminati di opere non più ristampate in formato cartaceo? Come si sta delineando per gli audiolibri? Detto in altri termini, se Disney ha creato una propria piattaforma flat, perché non può farlo anche Mondadori, il principale editore italiano?