una dedicata alla grande pioniera Margaret Bourke White, l’altra a Paolo Novelli mostrano quanto sia variegato il racconto attraverso la macchina fotografica.
Dal 14 giugno scorso hanno preso forma due viaggi diversi presso Camera attorno al mondo della fotografia, capaci di mostrarci ancora una volta quanto possa essere variegato il racconto attraverso la macchina fotografica.
Da venerdì 14 giugno, in occasione dei 120 anni dalla nascita, nelle Sale espositive di Camera sono, infatti, presenti gli scatti di Margaret Bourke White, con 150 immagini che percorrono l’intero cursus creativo dell’artista, che risulta la prima fotografa della leggendaria rivista Life Magazine. Una grande esposizione esplora la vita e l’opera di un’autrice imprescindibile dalla fotografia del secolo scorso.
Nata a New York il 14 giugno del 1904 Bourke White è stata la prima fotografa autorizzata a
scattare fotografie dell’industria sovietica e la prima fotoreporter di guerra americana.
Cresciuta in una famiglia borghese, si iscrive alla Columbia University, attratta dalle scienze
naturali, ma presto, grazie al corso tenuto da Clarence White, omonimo ma non parente, tra le
figure più importanti del fotosecessionismo, orienta la sua attenzione verso la fotografia e
manifesta fin da ragazza l’essenza del suo carattere e la sua irrequietezza. Non le basterà
essere la migliore, la più apprezzata tra le fotografe della sua generazione. Cambia diverse
università fino a laurearsi nel 1927 e, dopo un matrimonio fallito, nel 1928 decide di trasferire
in Ohio e lì aprire il suo studio fotografico, specializzandosi nella fotografia d’architettura, di
design e industriale. A Clevaland ottiene numerosi clienti, tra cui le acciaierie Otis, che le
danno fiducia, ma anche notorietà. Si può considerare la Bourke White la prima fotografa
industriale famosa e tra i primi fotografi a aver dato rilievo alla fotografia industriale.
La sua ostinazione e ambizione non la fermano davanti alle alte temperature delle fusioni,
alla ricerca di nuove tecniche e soluzioni fotografiche, né la allontanano da lunghe ore di
lavoro in ambienti malsani. Nel 1929 inizia a collaborare con la rivista “Fortune”.
Il primo numero di Life, nel novembre del ’36, aveva proprio una sua copertina, quella della
diga di Fort Peck.
Dopo il successo delle mostre dedicate alle pioniere Eve Arnold e Dorothea Lange, Camera
prosegue con le retrospettive delle grandi donne che si sono distinte nel campo della
fotografia. Il percorso espositivo “Margaret Bourke White. L’opera 1930-1960”, curato da
Monica Poggi, è dotato di opere visivo tattili e audiodescrizioni, si snoda attraverso 150 scatti
illustrando la grande carriera di Bourke White, dalle prime esperienze su Fortune fino al
fondamentale libro “You have seen their faces” sulla povertà e segregazione razziale nel Sud
degli Stati Uniti.
Margaret Bourke White ha saputo tratteggiare con grande maestria i reportage da manuale
sulle industrie statunitensi e sovietiche, giustapposti agli iconici ritratti fatti a Stalin e Gandhi.
Ha fotografato anche l’ingresso delle truppe americane a Berlino fino ai campi di
concentramento; quello dell’autrice è stato un viaggio nello stravolgimento epico del
Novecento, ma anche nella sua rinascita. Grandissima amante del volo e delle altezze, unì
spesso questa passione al suo lavoro fotografando a penzoloni dagli aerei militari con il
portellone aperto o affacciandosi pericolosamente dai grattacieli di New York.
Margaret Bourke White non è stata soltanto una grande fotografa, ma anche un’icona
americana di emancipazione, eccentrica e venerata, invidiata a seconda dei casi.
Amava l’idea del progresso, la vivacità della città e delle macchine, l’industria, l’aeronautica,
la natura e gli insetti. Portava con sé in valigia mantidi religiose durante i suoi viaggi ed aveva
come animali domestici due coccodrilli.
La sua vita è costellata da vicende avventurose e spericolate. Per la famosa rivista Life viaggiò
molto spesso e realizzò servizi e reportage che la resero famosa e, anche grazie al suo
carisma e al suo coraggio, riuscì a realizzare imprese per altri impossibili o impensabili.
Il gruppo viene guidato presso Camera attraverso gli scatti che Bourke White ha realizzato
negli anni più intensi della sua carriera, dopo aver seguito la sua storia di viaggi, incontri
e avventure per tutto il mondo.
Contemporaneamente a questa esposizione, la Project Room di Camera ospita la mostra dal
titolo “Paolo Novelli. Il giorno dopo la notte”, che rappresenta il dialogo tra una ventina di
immagini tratte da due cicli di lavoro del fotografo bresciano, apprezzato da figure centrali
della cultura fotografica italiana come Lanfranco Colombo, Arturo Carlo Quintavalle e
Giovanni Gastel.
Realizzate in analogico, in un rigoroso bianco e nero, le due serie intitolate “Il giorno non
basta” e “La notte non basta” presentano un unico soggetto, le finestre, nascoste da persiane
chiuse o murate. Si tratta di una ricerca lenta in cui il soggetto quotidiano diventa un simbolo
capace di portare con sé una serie di suggestioni infinite, condotta attraverso una fotografia
essenziale, costituita di minime variazioni, di spostamenti di luce e ombra, con sfumature nei
toni, tanto più silenziose quanto più evocative.
Le due mostre sono aperte da venerdì 14 giugno scorso presso Camera Centro Italiano per la
Fotografia