Nato a Breslau, Prussia (ora Wroclaw, Polonia), il 14 maggio del 1885, Otto Klemperer studiò a Francoforte e a Berlino anche con Hans Pfitzner (composizione e direzione d’orchestra).   Nel 1905 in quella città conobbe Gustav Mahler, di cui divenne amico e collaboratore e fu assistente nel 1910 per la prima a Monaco della gigantesca Ottava Sinfonia (Sinfonia dei Mille). Direttore di coro e direttore assistente all’Opera Tedesca di Praga su raccomandazione del celebre amico (1907-10), poi direttore principale all’Opera di Amburgo (1910-12), di Barmen (1012-13), di Strasburgo (1914-17), di Colonia (1917-24), di Wiesbaden (1924-27, con la qualifica di Generalmusikdirektor), dal 1927 al ’31 diresse la Kroll-Oper di Berlino organizzando stagioni da considerarsi ormai storiche per lo spazio concesso alle novità contemporanee. Nel 1933 gli fu conferita dal Presidente Hindemburg la Goethe-Medaille per meriti culturali, ma nello stesso anno per l’avvento del nazismo fu costretto in quanto israelita a lasciare la Germania. Trasferitosi negli Stati Uniti (vi aveva esordito nel 1926), fino al 1939 fu a capo della Filarmonica di Los Angeles dirigendo nel contempo altre eminenti orchestre americane (San Francisco, New York, Pittsburgh). Afflitto da gravi problemi di salute, che ne impedirono per anni l’attività, rientrò in Europa nel 1946, stabilendosi in Svizzera pur mantenendo la cittadinanza tedesca e acquisendo quella israeliana nel 1970. Dal 1947 diresse l’Opera di Budapest che lasciò nel ’50 esasperato dai pesanti condizionamenti esercitati dalla politica culturale comunista. Uno dei principali direttori dal 1952 della Philharmonia Orchestra fondata a Londra nel 1945 dal produttore inglese Walter Legge, ne divenne direttore a vita nel  1959 e presidente nel 1964 allorché, scioltosi il rapporto con Legge, il complesso si trasformò, sotto l’aspetto organizzativo e istituzionale, in cooperativa con la denominazione di New Philharmonia Orchestra. Attivo fin quasi agli ultimi giorni, si spense a Zurigo il 6 luglio del 1973. Nel 1966 aveva ricevuto il Premio Orchestrale “Nikisch” a Lipsia e nel 1971 era stato fatto membro onorario della Royal Academy of Music di Londra.

            Evocare Otto Klemperer significa in primo luogo ricordare uno dei tre più eminenti direttori d’orchestra di scuola tedesca (gli altri essendo i berlinesi Wilhelm Furtwängler, morto nel 1954, e Bruno Walter, mancato nel ’62) che sostanzialmente coetanei caratterizzarono la prima metà del Novecento, ma anche quello forse meno avvolto dall’aura del mito, forse meno passionalmente amato dai pubblici, ma – nella sua particolare prospettiva interpretativa – senz’altro degno di una fama pari a quella dei “favolosi” colleghi.[1] Il senso più profondo della funzione rappresentata da Klemperer in seno alla vita musicale del secolo XX fu, in un primo momento, quello di promotore e divulgatore coraggioso ed entusiasta della migliore e più significativa produzione contemporanea (di Schoenberg, Stravinsky, Weill, Hindemith, Janáček, Křenek…) per assumere successivamente quello di depositario della gloriosa tradizione classico-romantica austro-tedesca da Bach a Richard Strauss senza però mai essere indotto a cedere, lui uomo di cultura e gusto eminentemente novecenteschi, a tentazioni “neoromantiche” o a nostalgici ripieghi su moduli del passato abdicando alla sua personalissima e inconfondibile cifra interpretativa che lo portò a eccellere in un repertorio dove un Furtwängler e un Walter, con radici tutto sommato ancora più affondate nel secolo precedente, sebbene tra loro diversissimi, sembravano non avere rivali e possibilità di confronto per innata ed intima disposizione naturale.

            Interprete severo, epico, granitico, affascinato dall’austera pienezza di architetture solidissime edificate con senso grandioso dell’organizzazione strutturale, Klemperer si trovò particolarmente a suo agio nell’esecuzione delle opere teatrali e dei capolavori oratoriali e sinfonico-corali dove sapeva estrinsecare al meglio in tutta la potenza e la ricchezza costruttiva il suo scabro e pur intensissimo magistero espressivo[2].

            Le opere di Mozart (Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte in specie), il Fidelio beethoveniano, i wagneriani Olandese volante, Tannhäuser, Lohengrin, Valchiria, Maestri Cantori,l’Elektra di Richard Strauss, così come le creazioni novecentesche, trovarono in lui un interprete eccezionale e spregiudicato che, senza incollarsi etichette specialistiche o aderire a tradizioni pigramente accolte (operando anzi in direzione decisamente innovativa anche circa gli allestimenti, le messe in scena, i criteri di regìa – spesso gestita saggiamente in prima persona come farà poi un Karajan), sapeva trovare nei lavori prediletti – come in molti altri –  il respiro del più vibrante sentimento di volta in volta ironico, fiabesco, malinconico, appassionato, tragico, liberandolo con lo scavo nella maestosità mai inerte dell’architettura e nelle pieghe più riposte della tessitura musicale.

            Analogamente, capolavori del  genere sinfonico-corale e oratoriale – come il Messiah di Händel, la Messa in si minore e la Matthäus-Passion di Bach, la Missa solemnis di Beethoven,  Ein Deutsches Requiem di Brahms, Das Lied von der Erde di Mahler –  furono da lui letti nella stessa luce (rafforzata, nel caso, da una profonda adesione nobilmente spiritualistica nelle pagine più strettamente religiose) di vigoroso e pur sensibilissimo approccio, scevro di ogni concessione “teatrale” e saldamente concentrato nello scolpimento dell’anima e del messaggio più intimi della creazione musicale, senza alcuna indulgenza per le insidiose seduzioni del “bel suono” o del virtuosismo interpretativo[3].

            In ordine al canonico repertorio orchestrale, sinfonico e concertistico, quello di Klemperer, vastissimo, abbracciò tutti i compositori già citati, a cui potremmo aggiungere –  dal Classicismo al Novecento –  Berlioz, Chopin, Listz, Franck, Dvořák, Debussy, Ravel, Falla, Bartók, Gershwin, per  restare con  i maggiori. Al centro del suo mondo ideale e spirituale campeggiò l’opera di Beethoven e l’interpretazione, asciutta tragica potente, delle Sinfonie e dei Concerti del Genio di Bonn osiamo ritenere l’unica, nel suo tempo, a collocarsi alla stessa altezza di quella suprema, e per molti aspetti alternativa, di Furtwängler[4]. Straordinario interprete di Bruckner e di Čajkovskij, ne eseguì le sinfonie spogliandole delle insite sirene ipersentimentali e retoriche per farne cattedrali sonore di superba e rigorosa espressività (Bruckner) e lancinante, quando non tragica, drammaticità musicale (Čajkovskij). Delle sinfonie dell’amato maestro e amico Mahler ne accolse in repertorio soltanto quattro (la Seconda, la Quarta, la Settima e la Nona, di cui lasciò esemplari testimonianze discografiche), proponendone e privilegiandone, a differenza dell’altro celebre protégé e interpretemahleriano Bruno Walter, un’esperienza pre-espressionista e decisamente orientata verso il Novecento.  

            Avendo potuto fortunatamente fruire dei vantaggi della stereofonia (di cui non poté approfittare Furtwängler, sia pure poco amante del disco, e solo parzialmente poté Walter), il cospicuo lascito discografico di Klemperer è tecnicamente eccellente oltre che di incomparabile valore artistico.  Sembra che il Maestro intendesse ancora registrare la Johannes-Passion di Bach,  Il ratto dal serraglio di Mozart, Tristano e Isotta di Wagner, l’Ottava Sinfonia di Mahler… Ma la tarda, se non tardissima, età non lo consentirono. Quanto c’è, può già testimoniare di un’arte direttoriale di elevatissimo magistero e luminosa concezione etica.

            Come altri illustri colleghi non solo del suo tempo, Klemperer si cimentò anche nella composizione, conseguendo risultati se non significativi certo più che dignitosi. Fu autore, tra l’altro,  di due opere teatrali, Wehen e Das Ziel (intorno al 1915), di sei sinfonie (la Prima eseguita ad Amsterdam  nel 1961, la Seconda in versione definitiva a Londra nel 1969), di nove quartetti per archi, di una Missa sacra (1919), di un Salmo 23 per baritono e orchestra, di un centinaio di Lieder con pianoforte o con orchestra. Il suo lavoro più famoso ed eseguito è il Merry Waltz  (Valzer gioioso), dall’opera Das Ziel: ne esistono almeno due versioni discografiche di riferimento: una diretta dallo stesso Klemperer con la Philharmonia Orchestra e registrata nell’ottobre del 1961; l’altra diretta dall’amico Leopold Stokowski (al momento novantaduenne!) con la New Philharmonia Orchestra e registrata dal vivo in un memorabile concerto tenuto alla Royal Albert Hall di Londra il 14 maggio del 1974 in ricordo dello stesso Klemperer spentosi l’anno precedente. Sia pur condotto con piglio assai più… spedito, non si può ascoltare questo “omaggio” senza  un’intensa commozione.


[1]Va da sé che “scuola tedesca” è, come spesso in casi analoghi (“scuola francese”, “austriaca”, “ungherese”, “russa”, etc.),  una convenzionale etichetta di comodo che abbraccia artisti contraddistinti ciascuno da una proparia individuale personalità e affratellati semmai da una comune formazione artistica e musicale, specifica e tradizionale: sicché, a fianco della triade summenzionata, si potrebbero almeno ricordare, per lo stesso periodo, grandissimi interpreti (con ovviamente analogo repertorio comprendente i pilastri Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Schumann, Brahms, etc.) quali Carl Schuricht (in particolare per Bruckner e Mahler), Hans   

      Knappertsbusch (Bruckner e Wagner), Fritz Busch (Mozart), Erich Kleiber (Beethoven), Hermann Scherchen (Bach

       e Mahler), e i più giovani Eugen Jochum (Brahms e Bruckner), Joseph Keilberth (Wagner e R. Strauss), Franz Konwitschny ( Beethoven e Wagner),  Rudolf  Kempe (Wagner e R. Srauss), tutti contraddisti da  ammirevole talento e spiccata originalità nelle personali preferenze.

[2]Si è soliti attribuire a Klemperer, specie riguardo all’àmbito sinfonico, la tendenza a privilegiare tempi esecutivamente lenti, larghi o allargati, quasi ieratici, o solenni più del dovuto. Ciò può talvolta verificarsi, ma è altresì riscontrabile una disposizione a rallentare gli “allegri” e a velocizzare “adagi”  e “andanti” per creare un certo equilibrio, una certa omogeneità tra i vari movimenti di una composizione per salvaguardarne l’organica unitarietà.   

[3]Recensendo («Musica», 128, luglio-agosto 2001) una ristampa in CD della storica incisione klempereriana della Matthëus-Passion di Bach (Londra 1961), Gino Tanasini, condividendo i criteri puristici della filologica “prassi esecutiva” sviluppatasi vigorosamente dagli anni Sessanta, la definisce «una lettura monumentale ove il senso della tragedia sembra poter essere espresso esclusivamente attraverso una pesantezza di tempi e di volumi sonori più consoni ad un Ring wagneriano che al linguaggio di Bach». Il direttore non rispetta lo stile barocco del compositore, cori e corali in particolare sono stravolti dal loro senso originario, i solisti vocali «vere e proprie pietre miliari nella storia della lirica, qui appaiono fuori posto», ecc., ecc. Può esserci qualcosa di vero, nella lunga analitica spietata stroncatura, forse a tratti erompe davvero uno spessore sonoro esuberante (anche se nella lettura di Klemperer non vi è più nulla dell’interpretazione “romantica” di Bach, ancora presente nelle novecentesche esecuzioni, per alcuni versi peraltro stupefacenti, di un Mengelberg o di un Furtwängler); ma sfugge al critico che, se la lettera può essere fraintesa o tradita e lo stile e il «marchio»  bachiani non sono rispettati, lo spirito ne è comunque conservato. Per quanto attiene all’altrettanto storica e celebratissima incisione klempereriana del Deutsches Requiem, per molti aspetti musicalmente magistrale, confessiamo di non condividerne il marcato e cupo tono pessimistico. Il testo, costituito da brani tratti dallo stesso Brahms  da vari libri della Bibbia, non ci pare più che tanto timoroso di un al di là di condanna o di dissolvimento (si pensi, a contrasto, alla tragicità della Messa da Requiem di Verdi!), presenta anzi, accenti di speranzosa beatitudine e di acquisibile serenità, sicché, in questo caso, riconosceremmo più fedeli, ad esempio, le letture di Karajan e Giulini, in chiave più lirica e distesa.

[4]Si è voluto affermare che l’approccio di Klemperer al sinfonismo beethoveniano si possa in qualche modo assimilare a quello di Furtwängler (spentosi nel 1954), specie per quanto riguarda le escuzioni dei suoi ultimi vent’anni, quasi si sentisse, consapevolmente o no, erede spirituale e artistico del Berlinese. Ipotesi critica non sappiamo quanto attendibile,  comunque degna di verifica.