E‘ una notizia che attendevo dal 1967, quando a Palazzo Campana di Torino e alla Statale di Milano cominciarono le prime occupazioni studentesche che ebbero nel ‘68  e anni seguenti il loro trionfo. Un ‘68, mi diceva Renzo De Felice, destinato a durare mezzo secolo. Lo storico si rivelò troppo ottimista perché la pratica delle occupazioni è sopravvissuta persino alla pandemia che in larga  misura ha bloccato la scuola. Un paradosso incredibile che dimostra come la demagogia e il permissivismo siano diventati la cifra più evidente di questo disgraziato Paese. Con somma sorpresa abbiamo appreso che il ministero dell’istruzione ha finalmente preso posizione con un documento in cui si chiede  di “denunciare formalmente il reato di interruzione di pubblico servizio, di richiedere lo sgombero dei locali occupati  alla polizia, avendo cura di identificare nella denuncia quanti possiate degli occupanti“. Di norma le occupazioni provocano anche la devastazione di attrezzature scolastiche con grave danno per l’Erario che nessuna Corte dei Conti ha mai neppure evidenziato. Interrompere le lezioni a cui gli studenti hanno diritto, lede  in primis il principio costituzionale all’istruzione, anche se prudentemente i Costituenti lo  avevano pensato solo per i “capaci e meritevoli anche se privi di mezzi “… I mestieranti dell’occupazione sono ben individuabili ed anche a maggior ragione i vandali e i ladri. Nel gennaio del ‘68 il grande italianista Giovanni Getto, insuperato maestro che nessuno dei suoi molti allievi è riuscito a rimpiazzare per prestigio ed autorevolezza, mi scrisse una lettera che ho ritrovato recentemente . In essa mi ringraziava per la solidarietà che gli avevo espresso quando venne con la violenza interrotto mentre stava iniziando una sua lezione nel novembre/ dicembre 1967. E mi scriveva illusoriamente di impegno e di serietà degli studi. Per me già allora l’interruzione di pubblico servizio andava sanzionato e se i nostri ministri DC e provveditori non fossero stati eunuchi, vili ed acquiescenti il ‘68 anche in Italia sarebbe durato qualche mese al massimo. Adesso c’è qualcuno che ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, anche se ho letto già di presidi che hanno dichiarato l’impossibilità di identificare gli occupanti (sic!) e la necessità di “essere dialoganti e educativi con i contestatori evitando la rottura“.  Questi presidi sono gli eredi diretti del ’68, veri compagni di merende ( e non solo) dei loro alunni peggiori. I giornali non hanno dato spazio alla notizia, alcuni come “La Stampa” di Giannini l’hanno ignorata nella loro faziosità, anch’essa di matrice vetero sessantottina. Il Centro Pannunzio che è nato nel 1968 per porre argine alla confusione, al facilismo, alla desertificazione degli studi, è oggi in prima fila a sostegno di chi vuole ripristinare nella scuola il buon senso smarrito, appoggiando i presidi ossequienti alla legge che saranno senz’altro attaccati dai vedovi inconsolabili del ‘68 che sicuramente sono anche accanitamente no vax.