Per molto tempo discutere di energia atomica in Italia è stato un tabù ma a causa delle nuove frontiere dell’IT e grazie all’arrivo dell’intelligenza artificiale, l’argomento si è ripresentato con forza e chiede attenzione. La spinta a riconsiderare la possibilità di aprire il Belpaese a questa fonte di energia arriva dalle necessità della AI, che ha fame di elettricità a zero emissioni per i suoi voracissimi data center. Del resto le tecnologie del nuovo nucleare lo rendono sicuro e sostenibile, una fonte di approvvigionamento energetico stabile, sicura e decarbonizzata, che secondo gli scenari inseriti nel Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, ndr) sembra anche più economica rispetto ad altre fonti. Va ricordato che il nostro Paese ha detto due volte no via referendum (una prima volta nel 1987, poco dopo l’incidente di Chernobyl e una seconda nel 2011, dopo quello causato dallo tsunami a Fukushima) alla costruzione di centrali nucleari sul suo suolo, facendone, direi, una battaglia ideologica che nulla aveva a che vedere con sicurezza ed economia.
Siamo tutti testimoni di come la guerra Russo-Ucraina stia seriamente danneggiando l’economia italiana ed europea, tutti purtroppo abbiamo patito l’aumento del prezzo delle risorse energetiche come gas e petrolio, che hanno avuto punte ai massimi storici negli ultimi anni.
L’autosostentamento energetico della penisola italiana è sempre stato un sogno utopico a causa della scarsa quantità di risorse presenti sul territorio (il 40% del gas che consumiamo proviene dalla Russia attraverso i gasdotti Gazprom, il restante dal Maghreb, prevalentemente da Algeria e Libia).
La stessa cosa avviene per il petrolio, poiché Il 34% del fabbisogno energetico dei paesi OCSE dipende dalle esportazioni russe e questi dati dovrebbero far riconsiderare seriamente la costruzione di centrali in Italia.
L’Italia ha avuto nei decenni passati esperienze nella produzione di energia attraverso le centrali nucleari; dal 1963 al 1990 ha aperto cinque impianti: Sessa Aurunca, Latina, Montalto di Castro, Caorso e Trino vercellese, che hanno operato a pieno regime. Forse pochi sanno che la loro attività nel 1966 permise all’Italia di diventare il terzo produttore al mondo dopo USA e Inghilterra.
Nei decenni successivi l’anti economicità delle manutenzioni portò al declino degli stabili e di certo la paura scatenata tra il 1979 e il 1986 dagli incidenti di Three Miles Island e Chernobyl non aiutò e sfociò in un referendum che ne chiedeva l’abolizione.
Il referendum si tenne nel 1987 con risultati incontrovertibili: l’80% degli aventi diritto fu favore dell’abolizione: così venne celebrato il funerale del nucleare italiano.
Ma oltre le spinte emotive, esistono motivazioni tecniche che supportano la rinuncia al nucleare? Si onestamente, vediamole:
- L’elevato rischio sismico del nostro territorio;
- Lo smaltimento delle scorie, che se mal eseguito potrebbe comportare problemi nei secoli a venire per fauna, ambiente e popolazione del territorio (nonché sollecitazioni di interessi illeciti n.d.r.);
- L’ammortamento dei costi che si ripagano soltanto dopo dieci anni di attività;
Ma da pratico quale sono, devo anche parlare degli indiscutibili vantaggi offerti dai procedimenti di fissione e fusione che avvengono nel reattore:
- Il tasso di mortalità a causa del nucleare è agli ultimi posti della graduatoria stilata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, che vede ai primi posti la responsabilità di petrolio, biomasse, gas naturale, idroelettrico, solare ed eolico;
- La non emissione di gas serra;
- Autosostentamento energetico delle centrali, che si autoalimentano;
- Economicità perché con poco uranio si produce una quantità enorme di energia.
Chiedo allora a chi mi legge di ricredersi, se contrario, e di valutare positivamente la riapertura delle centrali, se favorevole, poiché l’insufficienza energetica è uno dei principali problemi di bilancio e debito dello Stato italiano. Le spese annuali per l’importazione di energia soverchiano di gran lunga i ricavi dei settori trainanti del PIL come alta moda, medicinali e prodotti farmaceutici, autoveicoli etc.
La produzione di energia a basso sostentamento potrebbe alleggerire le voci negative di bilancio e consentire al Paese di attutire i colpi di eventuali crisi energetiche.
Speriamo che il Parlamento proponga leggi idonee che guardino al futuro attraverso questi argomenti, e che permettano il sostegno delle necessità del terzo millennio, che vedranno nell’AI la loro nuova realtà e questa realtà è energivora.