“Uagliò, ma a che or’ stà u cortej’?”
“ragazza, a che ora ci sarà il corteo?”
(dialetto pugliese)
Nonna Ida, 99 anni, già da qualche giorno prima del 25 aprile si informa sull’orario di inizio delle manifestazioni, lei che ormai da anni, a causa dell’artrosi e delle gambe che non vogliono più saperne, non può andare in piazza. Quest’anno poi ricorrono i 75 anni da quel lontano 1945, quando nonna era poco più di una ragazza.
Ogni Anniversario della Liberazione devo legarle al collo il tricolore, ci tiene tantissimo, e le vengono gli occhi lucidi quando racconta di quella giornata incredibile, vissuta a 24 anni, già con tre figli e il marito in ospedale. Mia madre borbotta, le dice di non ripetere sempre le stesse cose, ma si sa, ai vecchi restano solo i ricordi e quelli di Ida non sono ricordi qualunque. Si sposò con Amedeo a 15 anni, nel 1936, dopo la “fuitina”, già “facevano all’ammore”, come nonna chiama il fidanzamento tra due adolescenti cresciuti troppo in fretta, in un’epoca in cui a 15 e 17 anni si era già adulti. Si sposarono alle 6 del mattino, entrando dalla porta laterale della chiesa e nonna sfoggia con orgoglio la foto di quei due ragazzi vestiti da grandi, lui con il doppio petto e i baffetti sottili e lucidi, lei con il collo di pelliccia, che la faceva apparire così goffa… Si sposarono il giorno della ricorrenza della Marcia su Roma, per avere le 500 lire che davano alle coppie. Nel ’37 arrivò la prima figlia e nel ’38 nonno Amedeo partì per la leva obbligatoria, dopo la quale non avrebbe più avuto una vita normale, al suo paese, con la sua famiglia. Fece il servizio militare e al momento del congedo, la Germania invase la Polonia, era il ‘39 e tutti i soldati furono raffermati.
Così Amedeo nel 1940 fu mandato in Albania, per la sventurata campagna di Grecia. Lì faceva il tosatore di muli e cristiani e i pochi soldi li mandava a casa alla moglie e alla figlia. Nel 1941 i soldati superstiti furono imbarcati su tre navi e mandati verso Bari ma due affondarono, nonno era su quella approdata. Tornò in licenza e nel 1942 nacque Lucia, mia madre. Nonno si era già ammalato di tubercolosi in Albania e venne impiegato al porto di Bari. Nel ’43, dopo l’Armistizio, fu arrestato dai Tedeschi e messo di guardia alle navi, la sua malattia peggiorò. La Guerra finì, nel ’45 nacque Vincenzo, frutto di un altro congedo, e Amedeo non tornò mai più a casa; morì a 29 anni per la tubercolosi, nel 1947, che neppure la penicillina portata dagli Alleati aveva potuto combattere.
Nonna si ritrovò vedova a 27 anni, con tre figli e la miseria più nera a farle da compagna. In quegli anni di grandi sconvolgimenti sociali aveva mandato avanti la famiglia con i pochi soldi che le mandava il marito, le giornate come bracciante agricola e il lavoro di balia, poiché vendeva il latte al bimbo gracile di una famiglia nobile, e dava a Lucia il decotto di papavero per lenire i morsi della fame. Ida trovò ascolto e sostegno nella figura del sindaco comunista del suo paese, Torremaggiore, Michele Cammisa, che non fece mai mancare il suo sostegno alle donne di quella città, povere e piene di bocche da sfamare. Nonna partecipava ai cortei del 1° maggio col fazzoletto rosso al collo e un giorno lasciò perfino il marito in licenza con i figli, per parteciparvi, e tornata a casa, prese una buona dose di mazzate dal consorte.
Durante il Referendum Costituzionale del 2 giugno 1946 passò parte della giornata alla stazione dei Carabinieri, perché portava i vecchietti senza parenti a votare per la Repubblica; all’ennesimo anziano accompagnato in cabina elettorale, il presidente di seggio comprese che non erano tutti suoi parenti e la fece allontanare. Furono anni difficili quelli del primo Dopoguerra e Ida fu assunta temporaneamente come bidella nelle scuole.
Nei primi anni ’50 divenne di ruolo e dovette firmare l’assunzione. Durante il giuramento il foglietto con la formula di rito arrivò nelle sue mani, ma lei era analfabeta, sapeva appena fare la sua firma, e ci voleva una piazza d’armi; sapeva leggere solo lo stampatello maiuscolo a caratteri cubitali e male. Il suo sguardo smarrito si posò prima sui presenti, tutti col vestito della festa, che occupavano il salone del Comune, poi sul sindaco Cammisa (nonna era riuscita a prendere la licenza elementare perché una maestra comprensiva l’aveva aiutata, senza quel titolo non avrebbe potuto essere assunta). Il sindaco comprese immediatamente tutto e con presenza di spirito, prese il foglio dalle mani tremanti di nonna, dicendo: “Ida, posso avere io l’onore di leggere il giuramento?” La pubblica credibilità di entrambi fu salva e nonna poté crescere i suoi figli. Ogni anno al 25 aprile e al 1° maggio ha sfilato con la bandiera rossa al collo, per ribadire il suo grazie a chi l’aveva affrancata dalla miseria e aveva ridato all’Italia la libertà dopo la barbarie nazifascista, che le aveva portato via anche l’amore della sua vita. Ora che non può più farlo, si accerta che lo faccia io in sua vece, e si informa di quanta gente ci sia e se le bandiere sono ancora rosse, come il suo orgoglio….
Perché racconto queste cose? Perché mai come in questo momento storico del Paese c’è stato bisogno di Nonne Ida a tenere alti i valori della Resistenza, della Libertà da tutte le dittature e da tutte le prevaricazioni, interne ed esterne, perché il suo credo vecchio di 99 anni è anche il nostro, i suoi valori sono ancora vivi e validi e il 25 aprile io sarò col cuore in piazza, una piazza virtuale a causa della pandemia, col tricolore al collo, anche per lei…!