L’erede e prosecutore di Ezio Raimondi, grande studioso del barocco, della retorica e del patrimonio letterario e linguistico italiano, è passato a miglior vita a fine agosto 2020. Studioso gentiluomo e sempre disponibile al colloquio con altri studiosi, era “uomo di Verità” e non di “potere”, senza esibire le proprie credenziali, senza ostentare né strafare. Entusiasta delle mie “scoperte” a proposito di Ettore Tesorieri e la di lui Penna insensata ( Alterj, Foligno 1626 ), degli agganci tra il poeta andriese e amministratore dei Baglioni a Foligno e l’autore della Dissimulazione onesta Torquato Accetto, riproposto da Croce nel 1928, Battistini vedeva nel Barocco l’età intermedia, psicologica ed etnografica tra Umanesimo e Idealismo. Esemplari i suoi studi su Galileo e i gesuiti ( Vita e Pensiero, Milano 2000 ); la teoria e prassi della Autobiografia ( Lo specchio di Dedalo, Il Mulino, Bologna 1990 ); la cura editoriale ammirevole delle Opere di Giambattista Vico, per i Meridiani, Mondadori, Milano 1999, in due volumi. Era stato animatore di molti e importanti convegni su Vico e la fondazione della modernità ( Vico e Joyce, Vico e le “Guise della prudenza”, Vico in America e nel mondo ). Amico di Donald Phillip Verene e del leccese Antonio Verri, di Paolo Rossi e Enzo Tagliacozzo, riteneva degne di rivisitazione le note di Fausto Nicolini a proposito delle tante citazioni sbagliate riportate dall’autore della Scienza Nuova seconda: citazioni che erano certo inesatte o improprie ma – per ciò stesso – “spie di un’interpretazione”. Ma ogni controdeduzione era da lui sempre svolta con rara eleganza e sobrietà. Negli incontri bolognesi presso il suo Istituto, mi confidava ammirazione per la ingegnosa tesi dei “Quattro sensi delle Guise” in Vico ( ossia; le “modalità”; le forme di attività spirituali o “modificazioni della mente umana”; le forme del “passaggio” dall’una all’altra attività cioè le “mediazioni memoria-sentimento-tempo” di stampo neo-crociano; infine, la “Guisa delle guise”, ossia il Giudizio ). Nel bicentenario della nascita in Morra Irpinia di Francesco De Sanctis ( 1817 – 2017 ) esaltava, e condivideva, il “Discorso di Trani” del 29 gennaio 1883, con l’invito alla coerenza di mente e cuore, dire e fare, pensare e sentire e agire, in dispregio dell’accezione negativa della “rettorica”, intesa come “quella frase luccicante” che prende e contenta di per sé ma è lontana dalla “dignità della persona” e dall’ “accordo di mente e animo”. Dialetticamente, il maestro della “rettorica” in positivo non poteva fare a meno di mettere in guardia verso “il cattivo uso della rettorica”, l’insincerità, le “vanitose esibizioni di falso fervore” ( come aveva concluso Croce Il ‘Viceregno’ e la mancanza di vita politica nazionale nella sua Storia del Regno di Napoli del 1923 ). Soprattutto, era attirato sempre più dalle differenze profonde tra la prima “barbarie del senso” in Vico, ossia la barbarie della pedagogia cartesiana confutata nell’Autobiografia e nelle Orazioni inaugurali del filosofo napoletano, e l’ultima “barbarie della riflessione”, tessuta di sottigliezze e sofismi di menti “arruginite”, che si presenta alla fine della Scienza Nuvoa seconda, assai diversa dalla prima, in quanto anticipatrice della junghiana “Enantio-dromìa”, come io preferisco dire: ‘Lotta dei contrari e tra i contrari sull’orlo del precipizio”, manifestazione essa pure dell’”Anticristo che è in noi” ( Croce, 1946 ). Dove, tra l’altro, questo punto dimostra – si badi bene – che il “ricorso” in Vico non può esser ridotto a mera “ripetizione” materiale di accadimenti e di stadi; dal momento che la “barbarie della riflessione”, suo luogo sintomatico, non può intendersi come la ripetizione della iniziale “barbarie del senso” ( Giuseppe Brescia, Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico e noi, Giuseppe Laterza, Bari 2017 ).
Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia.