In questo lavoro, dedicato allo scottante tema della pena capitale, l’autore si è concentrato sulla vita e le testimonianze di due fra i più famosi esecutori di giustizia della storia, vissuti in luoghi ed epoche completamente diversi: Giovanbattista Bugatti e Robert Greene Elliott. Come egli stesso afferma, ci volle molto per reperire l’autobiografia di Elliott, pubblicata all’inizio degli anni quaranta e divenuta un best seller con milioni di copie vendute, fino alla sparizione totale, dovuta probabilmente alla morte dell’autore, avvenuta nel 1939. Ormai considerato libro raro, presente esclusivamente in alcune librerie di stato americane, Giovanni Adducci è riuscito casualmente a scovarlo nel giro del collezionismo statunitense, pagandolo a caro prezzo. Scritto in un inglese molto comprensibile, si tratta di una testimonianza resa da un personaggio straordinario, avente un grandissimo rispetto per la vita, che col suo libro ha desiderato lasciare un grande messaggio di civiltà, raccontando di quelle 387 vite che lo stesso Elliott fu costretto a spegnere, alcune delle quali già divenute delle celebrità, fra queste la bella Ruth Snyder, alla quale l’autore ha voluto riservare parte del libro.  Non si può dire altrettanto per le “memorie” del nostro Mastro Titta, pubblicate alla fine dell’Ottocento dall’editore romano Perino, le quali in realtà costituirebbero un autentico “falso”, perché il famoso esecutore di “giustizie” della Roma pontificia non scrisse mai delle “memorie”, ma si limitò esclusivamente a lasciare un preciso elenco delle giustizie da lui stesso compiute, registrando per ciascuna di esse le generalità delle vittime, il crimine commesso, infine il luogo e il genere delle esecuzioni. Decisamente più spettacolari e condite di scene cruente rispetto a quelle di Elliott, specie quando il delitto compiuto fosse risultato particolarmente esecrando, conseguenze dei tempi nei quali Bugatti si trovò a vivere, caratterizzati da fame, malattie, ignoranza e brigantaggio, insieme ai quali il popolo era costretto a trascinare la sua misera esistenza, cause di frequenti quanto brutali delitti. “Memorie”, scritte dal tono talmente ingenuo nella narrazione scellerata, da assurgere nonostante tutto a specchio di quel buio periodo, suscitando al lettore una certa curiosità. Con quest’ultimo lavoro di Giovanni Adducci la vasta bibliografia sul tema della  pena capitale si arricchisce di un ulteriore importante contributo, che costituirà sicuramente elemento di approfondimento e riflessione per gli studiosi e per chiunque sia interessato a una questione cruciale riguardante il sistema delle pene: l’esercizio della violenza e della morte legale come strumenti di giustizia. Scritta con stile sobrio e senza indulgere in particolari macabri e raccapriccianti, l’autobiografia di Elliott offre l’immagine non di un freddo assassino ma di una persona mite, umile e onesta, rispettosa della vita a cui il destino ha affidato il compito paradossale e crudele di essere the State electrician nelle stanze della morte dei penitenziari americani. Accanto alla figura dell’uomo Elliott emerge nella sua autobiografia un realistico inquietante spaccato dell’America fra la metà degli “Anni ruggenti” e il decennio della Lawless Decade,  quando come ricorda Adducci, nei  tribunali di diversi Stati americani furono comminate numerose condanne a morte, alcune delle quali entrate  nella storia, come quelle di Sacco e Vanzetti, Ruth Snyder e Bruno Hauptmann. Sulla base di contributi e testimonianze, da una parte gli appunti autentici e la falsa autobiografia di Bugatti, dall’altra le memorie di Elliott, Adducci scrive, descrive e fa dialogare queste Vite parallele, coniugando sapientemente le sue competenze di serio studioso e i suoi interessi sulla Roma ottocentesca e sulla storia americana del 900. Il risultato è un opera di assoluta originalità   estranea ad ogni furore ideologico, realizzata con la misura e l’equilibrio dello storico, ma non priva di impegno civile e morale, di presa di posizione critica rispetto a una concezione intrinsecamente contraddittoria della Giustizia che, nel condannare l’omicidio, ne perpetra uno essa stessa usando il pubblico supplizio come strumento di deterrenza, rivelatosi nel corso dei secoli e nella situazione attuale inutile e controproducente.

NOTA BIOGRAFICA

Giovanni Adducci, ingegnere meccanico nato nel 1954, vive e lavora a Roma, dove insegna discipline tecnologiche ed aeronautiche presso un istituto superiore statale. Fotografo ed esperto di storia risorgimentale e cronaca riguardante l’America del Novecento, ha già pubblicato:

Il mistero di una fuga: Alcatraz 1962 (Serarcangeli Editore, Roma, 2002);

Sacco e Vanzetti: colpevoli o innocenti? (Serarcangeli Editore, Roma, 2003);

Io ti dichiaro morto! La pena di morte nel mondo e nel tempo (Edizioni Associate, Roma, 2004).

Sacco e Vanzetti: una storia infinita (Edizioni Associate, Roma, 2005),

Un Garibaldino a Casa Giacometti – Roma 1849 (Palombi Editori 2016)

Mastro Titta vs Robert G. Elliott – Storia, Cronache e Pettegolezzi dei due più famosi Maestri di giustizia della storia (Europa Edizioni, Roma 2018)