Ad ogni età le favole sono il più bel gioco da giocare. Si sta ad ascoltare e si gioca con le parole, con la mente, con le immagini, con i sentimenti. Manlio Santanelli, drammaturgo e scrittore è un “cuntatore” d’eccezione. “Li cunti” gli nascono dall’anima come una magia e li ritrovi dentro la pagina pronti a condurre il lettore in un mondo immaginario e sospeso fin dall’attacco iniziale: “ce steve na vota…”. E il tempo si ferma, anzi si riavvolge fino a un momento indefinito dove tutto è possibile e non si comprende se “lo cunto” è verità o invenzione. Sono racconti inseriti nel volume “Dieci favole antiche alla maniera di G.B. Basile” – Kairòs editore – in cui Santanelli si affida alla guida di uno degli autori più immaginifici della nostra letteratura, Giovan Battista Basile, raccontatore del’600. Un omaggio alla tradizione e alle radici del territorio partenopeo per ricreare un universo arcano, ancestrale e, per questo umanissimo. Le origini della fiaba si perdono nella notte dei tempi, vanno oltre ogni confine. Si potrebbe anche dire che l’uomo, da quando esiste, racconta storie come se narrarle fosse più che un divertimento, una necessità profonda. Racconti di avventure in cui predomina il fantastico, sia negli episodi sia nei personaggi, con protagonisti umani o irreali, spiriti benefici o malefici, streghe, maghi, folletti, mostri. Manlio Santanelli si immerge in questo universo e riporta le vicende di principi e principesse, di ricchi e poveracci, artifici magici, oggetti fatati, servendosi della lingua e dello stile pregiato del suo modello barocco. Ne scaturisce una narrazione spettacolare, briosa, esuberante in cui la circostanza immaginaria si accorda con le molteplici sfumature di un linguaggio altrettanto vivace e ridondante. Le parole acquistano una sonorità che si amplifica continuamente. Ogni vocabolo muta, si trasfigura, ora è lirico, ora è corporeo, raffinato anche quando appare grossolano, specchio del reale e dell’inverosimile. Verità ed illusione s’intrecciano, i due piani si confondono l’uno con l’altro tanto che il rapporto fra le due dimensioni è ribaltato. Tutto è incentrato sulla meraviglia condita da un’ironia sottile che tracima nel paradosso. Una chiave di lettura della realtà e dell’inconscio che accanto al sorriso fa nascere una malinconia arguta. Alla fine del “cunto”, come in ogni favola e, come concludeva il Basile, c’è sempre un messaggio, una morale. La vita, come tutti i sogni, è caratterizzata da illusorietà, fugacità del tempo, vanità delle cose. L’esistenza è quindi ingannevole e inconsistente e “chi se penza che de la vita ave sagliuto tutte li scaline, cchiù primma ca doppo fa na brutta fine”. Il pessimismo di Santanelli è esilarante, cerca di esorcizzare la paura esistenziale che appartiene a tutti noi attraverso il dualismo tra tragico e comico, tra disperazione e speranza. Una tecnica già collaudata nelle sue commedie che nella scrittura conferma il suo ritmo coinvolgente. Ad illustrare le novelle l’autore ha voluto gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Marta Fogliano, Enza Galiano, Matteo Mercolino e Francesca Stella, di età compresa fra i 20 e 25 anni, ancora frequentanti il Corso di Design della Comunicazione e il Biennio Specialistico in Editoria, Illustrazione e Fumetto. I giovani artisti hanno trasformato in immagini gli incanti del racconto utilizzando metafore rappresentative intime e moderne. Due livelli comunicativi che si affiancano e si integrano per regalare al lettore un intrattenimento intellettuale ricercato e affascinante, un humus ricco dove far crescere nuova e feconda creatività come ben conclude la novella Il principe Flegreo: “se viene da na bbona terra, puo’ vencere qualunque guerra”.
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