1. Un cervello “eccellentissimo”

Niccolò Machiavelli sosteneva circa cinque secoli fa che ci sono tre generazioni (oggi diremmo “tipi”) di cervelli: «l’uno intende da sé, l’altro discerne quello che altri intende, el terzo non intende né sé né altri; quel primo è eccellentissimo, el secondo eccellente, el terzo inutile» (Il Principe,  XXII, «De’ secretari ch’e’ Principi hanno appresso di loro»,§ 2).

Machiavelli scrive da politologo e le cose che sono da intendere sono quelle che alla politica si riferiscono. A voler identificare il secondo tipo di cervello, si può oggi rimanere alquanto delusi scoprendo che si tratta della mente dello studioso che analizza i fatti e deduce quel che è stato, “discernendo quello che altri intende”, cioè comprendendo per esempio, dopo averlo esaminato, il disegno politico di un Cavour. Ciò si verifica oggi perché – diversamente da quanto accadeva all’epoca di Machiavelli, quando la cultura umanistica raggiunse il suo culmine – l’intellettuale dei nostri tempi non è un uomo di corte, consulente e confidente del “princeps” (suo segretario e uomo di fiducia) ma è sempre più spettatore che dall’esterno scruta quel che succede nella misteriosa stanza dei bottoni. Ciò significa che non sempre è bene informato dei fatti che stanno per accadere. Quando poi le cose succedono, finalmente capisce. Ma ci sono anche le volte che non capisce o che non vuol capire o, che ha interesse, pur avendo capito, di far intendere a chi di dovere di non aver capito, magari perché vorrebbe sapere di più per capire meglio.

2. Democrazia e trasparenza

All’epoca in cui Machiavelli scriveva la democrazia era inesistente. Per dirla tutta, c’era a Firenze più democrazia ai tempi di Dante che non ai suoi, quando gli eredi di Lorenzo il Magnifico presero le redini della Signoria.

Oggi la democrazia impone la trasparenza. Se ne parlava già tanto ai tempi dell’ultimo  Andreotti, quando, discutendo con alcuni amici, io dissi che che era sufficiente, volendo avere qualche brivido di verità, immaginare Andreotti in camicia da notte trasparente, senza pretendere di vederselo comparire davanti in una mise obiettivamente così poco ufficiale eanche poco dignitosa, tanto per lui quanto per noi.Voglio dire che tutta quella propaganda sulla trasparenza ha nociuto agli italiani che hanno rinunciato a immaginare quel che non si vede, ma che dai fatti si può dedurre, senza troppa fatica. Quando la trasparenza si impone, l’opacità aumenta dall’una e dall’altra parte. Chi dovrebbe mettersi a nudo va dall’estetista e si crea come una controfigura, oppure si arma di uno scudo che supera le prodezze di quello del mago Atlante nato dalla fantasia di Ariosto. D’altra parte chi guarda non osserva perché, quando uccidi l’immaginazione, uccidi il dialogo con l’elettorato. E il numero dei cervelli di terza generazione aumenta vertiginosamente. Lo confermano i discorsi di tanti politici che, inseguendo questi elettori ondivaghi e spesso distratti, sl punto d’essere fantasmi, sembrano rivolgersi a dei sedicenni e da qualche tempo in qua a sedicenni un po’ spenti, incapaci di indignarsi del moralismo bieco che ha ormai invaso il teatro della comunicazione, offensivo all’intelligenza che, tra uno sbadiglio e l’altro, riesce comunque con grandi sforzi ad essere desta solo perché lo vuole.

Si invoca il diritto di uccidere il ladro che ti entra in casa, ma l’evasore fiscale che ruba cifre da capogiro, purché abbia un buon avvocato, patteggia e la galera la vede col binocolo. Ladro l’uno, ladro l’altro, il primo disprezzato, forse perché si presenta male, il secondo invidiato, perché sa vivere, veste bene e chiede permesso prima di entrare in casa tua. Follie dei tempi presenti!

3. Giolitti e i suoi tempi

Si direbbe che si stia tornando indietro invece di andare avanti. Mi dispiace non è vero. Nell’andare avanti, ci siamo spinti oltre, su un terreno infido. Oggi né il cervello di prima né quello di seconda generazione sanno dire dove ci troviamo e a che punto siamo. Torniamo ora a circa cent’anni fa quando, dopo l’attentato di Sarajevo da cui si fa originare la prima guerra mondiale, cominciarono a delinearsi in modo quasi definitivo le alleanze tra i vari stati europei. Allora Giovanni Giolitti, sollecitato a farlo, aveva espresso pubblicamente e con la solita chiarezza l’inopportunità di entrare in guerra. Siamo  nel 1915 e in quel momento, non essendo ministro, Giolitti non era a conoscenza delle segrete cose, per cui ignorava che il Governo aveva già deciso di entrare in guerra a fianco dell’Intesa..Disse perciò che l’esercito italiano non era per lui in condizione di affrontare gli assai meglio organizzati eserciti degli imperi centrali. Aveva anzi previsto due possibilità: o una rivoluzione, o un’invasione da parte del nemico. La rivoluzione non ci fu ma il timore che potesse aver luogo dominò la politica italiana nel dopoguerra. Quanto all’invasione, la disfatta di Caporetto è un fatto troppo noto perché se ne parli. La guerra – già decisa all’insaputa di Giolitti e del popolo italiano – fu deliberata con voto di fiducia in Parlamento. Quindi finì, come accade che finiscano tutte le guerre.

Quando poi tornò al Governo nel 19-20, Giolitti propose subito di cambiare l’articolo 5 dello Statuto Albertino. Si trattava di attenuare i poteri del re in materia di rapporti internazionali e di patti da stipulare con altre potenze. Le ragioni che avevano indotto Giolitti a questo passo le espone lui stesso in modo semplice e diretto nelle sue Memorie Per dirla in due parole, secondo Giolitti, da che c’è il suffragio universale, tutti i cittadini devono conoscere il programma della politica estera.

Che diamine! Aveva ragione! Ma poi la parentesi fascista insegnò agli italiani che basta essere informati sulla politica interna, cosa a cui si provvide, dal 1930 in poi con una propaganda di basso (bassissimo) profilo culturale. E allora dagli coi film, le canzonette, i discorsi del duce, i cinegiornali, un coro di esaltazione dei valori genuinamente italiani e bla bla. La politica estera era nelle mani del Re e del Duce, che informavano sui mali delle demoplutocrazie, scoprendosi alla fine tutt’e due razzisti, per avere stretto alleanza con la Germania di Hitler. Ma una qualche vocazione al razzismo doveva albergare nell’una e nell’altra delle due menti.

Giolitti aveva ragione. Conoscere il programma della politica estera è importante per poter dire “sono d’accordo” o “non sono d’accordo”, cosa che in una democrazia è normale, direi fisiologico. Il programma non vuol dire le emergenze o gli imprevisti, ma è incontestabile che chi quel programma sappia leggere sia nella condizione di vedere quali imprevisti e quali emergenze sul piano della politica estera possono scaturire. Per quanto riguarda gli imprevisti e le emergenze, mi pare chiaro che debbano darsi per scontati quando ci si discosti da una politica estera già sperimentata, con contatti e alleanze di vecchia data. Le alleanze nuove sono pericolose, sia perché si tratta di avviare trattative con realtà poco conosciute, sia perché indeboliscono quelle vecchie sperimentate per lungo tempo.  E l’isolamento in politica estera è sempre stato un grave rischio.

Ma c’è anche dell’altro. Confesserò d’aver superato da un pezzo i sedici anni di età, di aver viaggiato se non molto, abbastanza e senza essere un uomo di mondo, so comunque qualcosa della variegata umanità che vive su questo pianeta.

Cambiare la politica estera, ai tempi d’oggi significa eccitare il controspionaggio sia industriale sia politico. Perché? Ma perché il vecchio amico (che sa tante cose di noi) diventa a questo punto nemico e il nuovo “amico” d’altro canto sa anche lui, per sentito dire, quanto siamo o non siamo affidabili. E capita a questo punto che ci si ritrovi in mano (non dico in bocca) qualche patata bollente, di quelle che possono fare veramente male. 

4. I sentimenti degli italiani

La nostra Costituzione poggia su principi per cui la strage di Cutro non si sarebbe mai dovuta verificare. Senza contare che quel sentimento di ospitalità che domina l’Odissea fa parte di un patrimonio culturale che in Italia è diffuso. Noi siamo accoglienti da antichissima data e ci duole colpire alla cieca chi ci chiede aiuto. Siamo “furbetti” e perciò lesti a riconoscerci in Ulisse, mentre sdegniamo Polifemo per il suo cinismo e la sua crudeltà. C’è inoltre una legge del mare che è vanto, vorrei dire, della cultura occidentale, segnatamente europea. Una cultura che ha creato la Convenzione di Ginevra, la Corte internazionale dell’Aja, che difronte ai crimini di guerra ha promosso il processo di Norimberga e creato il Tribunale Russell.  

Un governo, che è espressione di una maggioranza parlamentare votata da un quarto degli aventi diritto al voto, farebbe a mio parere meglio a non insistere nel rivendicare un’investitura dal basso che non c’è stata, spingendosi a porre disinvoltamente la questi one dell’immigrazione al centro del proprio programma politico da realizzarsi perché “condiviso dagli italiani…”. Il tema dell’immigrazione è oggi sentito e dibattuto in Europa, realtà a cui volenti o nolenti ci dobbiamo rapportare. Infatti siamo europei, e non per elezione, ma per una situazione di fatto, per cui chi studia alle elementari geografia sa che l’Italia si trova in Europa. Pareva perciò opportuno  quanto il governo Meloni dichiarava di voler fare, invocando un’intesa da crearsi con gli altri stati europei su  questa materia.  Di qui, secondo il mio giudizio, la necessità da parte di questo governo di mediare con l’opposizione per trovare il modo di aggirare i problemi che in materia potessero sorgere nel confronto con l’indirizzo politico prevalente in Europa. In fondo l’opposizione in una democrazia ha una funzione, che è quella di “sviscerare” un problema, vedendolo da più angolazioni. Sgangherata, divisa a sua volta, screditata agli occhi dei suoi stessi elettori (o ex-elettori?), l’opposizione è comunque una sponda utile e, con buona pace dell’onorevole Foti, che tanta buona volontà ha messo nell’imparare ad abbottonarsi la giacca, i banchi dell’opposizione esistono e si trovano alla Camera dei deputati e in Senato, vale a dire in Parlamento. Ora inveire sistematicamente contro gli oppositori, lamentandosi della scarsa collaborazione che offrono al governo, dichiarando che si procede comunque verso la via delle riforme, è alquanto offensivo del ruolo istituzionale che comunque rivestono quei deputati e quei senatori, eletti anch’essi dal popolo italiano. Essi hanno tutto il diritto, e direi anche il dovere, di far sentire il proprio parere. Lo stesso si dica dei magistrati, che, conformemente alle leggi vigenti, annullano provvedimenti incompatibili con norme riconosciute dall’Italia. E qui parte della stampa ha soffiato non poco sul fuoco, ridicolizzando alquanto i magistrati con l’assecondare l’ opinione che le loro sentenze siano inquinate da pregiudizi ideologici. Può darsi per scontato che in Italia ci siano magistrati che non fanno il loro dovere. Ma credo che accusarli di pregiudizio ideologico sia una mossa avventata. Il corpo della magistratura non si configura al modo in cui oggi si configura invece un partito, dove vige, almeno in Italia, una disciplina interna così rigida che avrebbe fatto la gioia della buon’anima (!) di Iosif Stalin. Ma chiunque vede che il partito è un gruppo di potere che preme compatto nella difesa dei propri interessi dandosi degli obiettivi “politici”. Il magistrato è tenuto all’obbedienza della legge, a meno che non sia corrotto e, dati i tempi, farsi beccare d’avere “aggiustato” una sentenza per amore di Marx, invece che per una ricca bustarella vuol dire screditarsi pubblicamente. Almeno da noi dove vige il detto partenopeo “Accà nisciuno è fess!”.

Semmai il magistrati rischia di lasciare affiorare il suo sentire politico-ideologico in cause tra privati specialmente in vertenze tra datori di lavoro e dipendenti. Ma anche qui non possiamo sapere quanto agiscano le prove documentali prodotte dalle parti e dai loro difensori. È ovvio poi che il condannato si veda facilmente come vittima di un fumus persecutionis. Direi tuttavia che c’è da parte dei politici un’enfasi eccessiva su questo punto, come dimostra la conclusione dell’indagine a carico del ministro Salvini, preceduta da una propaganda innocentista organizzata dall’interessato che gli ha suscitato non poche inimicizie.  

Se perciò alcuni italiani pensano che il magistrato possa agire per partigianeria politica, ciò accade per pura disinformazione e mancata conoscenza di come si celebri un processo e di quali siano le limitazioni, le regole, i vincoli a cui un magistrato deve sottostare, lontanissimo dall’essere arbitro indiscusso di un giudizio che, a cominciare dalle motivazioni addotte, non può rivelarsi essere un giudizio suo personale, sia pure dettato dai più alti sentimenti morali.

In questo senso colpiscono le accuse generiche rivolte ad anonime “toghe rosse”, a giudici “comunisti”, “politicizzati”, dei quali però non si fanno nomi e cognomi, esibendo prove, oltre che accuse. 

 Ignorare quel che esiste, che sia l’Europa, che sia il Parlamento, che sia la Magistratura, che siano i cittadini che hanno votato contro la coalizione dell’attuale maggioranza, sottovalutando il problema dell’astensione, non è in democrazia una buona idea.  

Ai cittadini si chiede di stringere la cinghia, al Parlamento e alla Magistratura si chiede “collaborazione”, con l’Europa a momenti  si litiga, per non mettere in discussione il programma.. All’attuale opposizione, che è stata per lungo tempo al Governo, non può certo muoversi il rimprovero di non aver trattato con i guanti gialli gli elettori dei loro avversari. La sensazione è che li abbiano addirittura “corteggiati” nella speranza d’avere, oltre al consenso, anche il loro voto. Direi piuttosto che la cosiddetta sinistra ha messo platealmente da parte, fino a indignare diversi dei suoi elettori, le pregiudiziali ideologiche a cui in tempi precedenti si era ricondotta. E se aveva senso chiedere a Dalema di dire “qualcosa di sinistra”, si sarebbe potuto chiedere a Renzi di fare meno cose di destra.

5. Facendo le somme

Volendo commentare la politica italiana, di destra e di sinistra, io non parlerei di trasformismo, ma di funambolismo, con la sinistra che ha tenuto conto dell’esistenza dell’ elettorato di destra quasi ossessivamente. La destra sta oggi in equilibrio precario su quella stessa fune, ostinandosi a non tener conto di aspettative diverse da quelle sbandierate dal programma elettorale.  

Non nascondo di sperare (disperatamente?), da liberale di sinistra, che l’Italia resti una repubblica parlamentare, nella quale il Parlamento ritrovi la via per farsi espressione dei problemi veri del popolo italiano.

Se poi i governi sono deboli, forse è colpa loro, che nell’ansia di conquistare il potere (espressione da brivido!), non sono poi sempre nella condizione di governare, specie se ricorrono, con cieca ostinazione al voto di fiducia per far passare la legge finanziaria nonché tante riforme e tanti provvedimenti d’urgenza che non tutti capiamo.

S’intende che le mie considerazioni vengono da un cervello che spera di essere machiavellicamente parlando un cervello di seconda, non di prima generazione, cosa che non esclude, in tempi in cui vige un ottimismo incosciente, che i miei potenziali intellettuali siano ancora più scadenti e che il mio povero cervello sia semplicemente inutile.

In questo caso non mi resta che chiedere scusa al lettore e al povero Machiavelli che da secoli è bistrattato in Italia e non solo.