La più recente produzione creativa di Maria Modesti, che ha esercitato il proprio talento espressivo in molteplici generi di scrittura, è stata affidata ai tipi della Collana di Letteratura “La linea d’ombra”, diretta da Loris Maria Marchetti. La linea d’ombra può certo contenere le vibrazioni segrete dell’anima, che si impegna a trovare termini in grado di restituirle compiute al cuore del mondo, di farne testimonianza potente e riguardoso messaggio, in vicinanza con i palpiti di tanta umanità. E’ su questo confine tenue eppure così sostanziale che Maria Modesti inscrive “La linea d’oro” delle proprie suggestioni poetiche, tracciate da un percorso interiore che si distende negli anni e di cui assorbe, elabora, leviga con una grazia accorta e rara ogni momento significativo. Attimi di intima illuminazione nati da occasioni quotidiane e da un nitido sentimento della natura fra l’urgere dei dubbi, la necessità di dare un senso ai rintocchi dello spirito oltre alla coscienza lucida di appartenere ad una vicenda comune che si intende decifrare e che non desiste dal confrontarsi con l’Assoluto. Ci troviamo allora nel vasto spazio di una lirica contemporanea la quale, maturate le forme della tradizione e oltrepassate le fascinazioni delle avanguardie storiche e postmoderne, fonda in modo originale un nuovo legame fra l’arte e la vita. La rappresentazione della realtà supera qui i limiti della descrizione che ha sempre informato tanta parte della poesia e si colloca dentro un ambito più rarefatto, capace di includere simultaneamente la verità della storia, la tensione degli affetti, il ricordo, l’attesa; “una scia lieve impalpabile / nel soffio di un respiro” attraversa il tempo vissuto, che riconosce le proprie coordinate mediante le figurazioni del paesaggio, percepito in maniera profonda e diversamente connotata dalle esperienze della vita. Il bosco, la terra arida, le siepi, gli orti, il colle e il mare e il cielo accolgono la presenza sia inquieta che riflessiva dell’autrice, la quale si identifica come una creatura alla scoperta della propria verità esistenziale, misurata e chiarita per quanto possibile da innumerevoli componenti. Intanto l’appartenenza a precise radici che hanno indirizzato le peculiarità della sua prospettiva umanissima, costantemente rivolta alla considerazione di chi procede con sforzo e con devota assiduità sul proprio itinerario quotidiano, in “un paese / di poche anime dimenticate / rimaste a sfidare ogni / tempesta o inclemenza”. Qui è visibile il “corso delle generazioni” le cui mani “ruvide, scarne e nodose… questa terra arida ed amara / hanno coltivato con tenacia”; qui si sono consumate anche le stagioni della sua famiglia (“i miei vecchi”), individui “semplici ed umili / abituati alla fatica”, che restano “voci e presenze, ombre / ed assenze sempre vive” fra le zolle incise dai solchi, nel sussurro delle fronde, sull’orizzonte dei campi. Un ricordo che si delinea quale nodo indissolubile di natura e di vita, simboleggiato dalle “radici / possenti d’un ulivo / millenario” che richiama alle origini e che resta saldo “nella sfida / continua delle intemperie”. Ancora sull’argine della memoria traspare l’adesione ad un destino eletto per sé, ma talvolta subìto quanto un sacrificio di rassegnata obbedienza al fluire inarrestabile dei giorni, in una sequenza sospesa “tra il presente / e il passato”, ripensata adesso nel suo svolgersi: “interamente / vissuta, dissipata o forse / annullata in sogni / vani ed incertezze / nel vuoto abissale / aperto nel varco / d’una fragile speranza”… La stessa speranza, la medesima attesa che già esisteva nelle trepidazioni fanciullesche della scrittrice, quando si accingeva ad affrontare “il tornante della vita”, con l’ansia che qualcosa potesse vincere “nello scarto / del destino” e si abbandonava poi “quietamente / nel respiro della natura”. Dentro un simile brulicare di visioni, afferriamo l’amarezza per quella sorta di tradimento che si consuma a poco a poco seguendo la strada del futuro, che genera disillusione e ha devastato in maniera tragica la sorte di “chi su questa terra / vaga senza pace / e tregua”, di tutte le creature indifese divenute preda di “guerre e stragi” e che portano segnate anche sulla propria carne le violenze della storia. Davanti alle incertezze del nostro procedere individuale e collettivo è impossibile non interrogarsi sull’enigma della vita: forse “una sosta breve prima / di riprendere il cammino / verso un punto indefinito”. L’immagine evanescente di una soglia che separa il buio dalla luce ricorre in filigrana fra i versi della Modesti, incantati dalla “bellezza misteriosa” che palpita dentro panorami infiniti al confine “fra la terra e il cielo”, come presagi di una rinascita sia immanente che superiore, “nel segno / profondo dell’amore”. “Pellegrini – quasi giunti / alla meta di un lungo viaggio” siamo colti dallo “stupore improvviso / di essere parte infinitesimale / in questo universo” e niente ci appartiene veramente del nostro tempo ormai estraneo, se non una fievole speranza che si fa largo fra le tenebre. Il ritmo generalmente franto del discorso poetico regala alla struttura di ogni componimento atmosfere insolite, diramate su scorci quotidiani ritratti nei loro piccoli elementi conosciuti e, contemporaneamente, su scenari sconfinati che vagheggiano significati di alta intensità. Vigile è la penna nel marcare pause, disgiunzioni, cadenze antimelodiche in uno svolgimento avvincente, ricondotto di continuo al centro delle emozioni.
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