Il 2 febbraio del 1922 è una data cruciale per il romanzo moderno. In quel freddo giovedì a Parigi veniva pubblicato l’Ulisse, uno dei libri più importanti del Novecento, capolavoro assoluto del modernismo scritto dall’irlandese James Joyce tra il 1914 e il 1921. In realtà dal marzo 1919 al dicembre 1920, l’Ulisse uscì a puntate sulla rivista letteraria americana The Little Review, dedicata all’arte e alla letteratura sperimentale internazionale, suscitando un certo clamore. Alcuni episodi vennero accusati di oscenità e indecenza tanto che il romanzo fu bandito nel Regno Unito fino agli anni Trenta e lo stesso accadde negli Stati Uniti finché nel 1933 un tribunale stabilì che il libro non era pornografico né osceno. La prima edizione venne stampata nella capitale francese da Sylvia Beach, fondatrice della leggendaria libreria Shakespeare and Company, uno dei principali centri della vita culturale parigina degli anni Venti, frequentato da artisti e romanzieri come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald. Per risalire a una edizione italiana bisogna invece arrivare al 1960 quando, per la prima volta, venne pubblicato da Mondadori nella collana della Medusa, diretta da Elio Vittorini. Il libro, piuttosto complesso e non esattamente di facile lettura, ambientato a Dublino, in Irlanda, racconta le vicende e il girovagare nella città di Leopold Bloom nell’arco temporale di un’unica giornata, il 16 giugno del 1904. Una data importante per l’autore che proprio quel giorno conobbe la donna della sua vita, Nora Barnacle, divenuta ufficialmente sua moglie ventisette anni dopo, nel 1931. Insofferente al provincialismo bigotto di Dublino, Joyce lasciò la città nell’ottobre del 1904 con Nora. James Joyce visse da allora e fino al 1919 (seppur con diverse interruzioni per soggiorni a Pola, Roma e in Irlanda) nell’austera, elegante e mitteleuropea Trieste. Città di carattere del tutto particolare (così venne descritta da Umberto Saba: “Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace. Con gli occhi azzurri e le mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore, con gelosia”) affascinò perdutamente l’irlandese Joyce. Durante il suo lungo soggiorno triestino, oltre ad insegnare inglese alla Berlitz School, lo scrittore della “terra del trifoglio” completò la raccolta di racconti Gente di Dublino, pubblicando una seconda stesura della raccolta di poesie Musica da camera, scrisse il poema in prosa autobiografico Giacomo Joyce, ed iniziò, oltre al dramma Esuli, i primi tre capitoli del lavoro che gli diede fama internazionale: l’Ulisse, appunto. Dopo i cinque lustri triestini Joyce visse per vent’anni a Parigi e morì in Svizzera, a Zurigo, a metà gennaio del 1941. A Trieste, oltre al museo a lui dedicato, si può ammirare la sua statua che si trova in uno dei luoghi più belli della città, il Ponterosso che attraversa il Canal Grande, nel quartiere teresiano. Il monumento in bronzo raffigura lo scrittore mentre cammina sul ponte, assorto nei suoi pensieri, con un libro sottobraccio e il cappello in testa. La targa, riprendendo la Lettera a Nora del 1909, recita: “…la mia anima è a Trieste”. Alcune curiosità, tra le tante, meritano un cenno. Il 16 giugno è celebrato nelle maggiori città del mondo occidentale come il “Bloomsday”. In occasione del centenario dell’epica giornata narrata nell’ Ulisse (vent’anni fa, il 16 giugno del 2004), a Dublino venne organizzato un pranzo per diecimila persone nella via principale. In Italia, a Genova, da quasi vent’anni, si celebra nel centro storico il “giorno di Bloom” con la lettura quasi integrale in italiano e brani in inglese dell’opera, dalle nove del mattino alla mezzanotte e in luoghi analoghi a quelli del romanzo. Viene da chiedersi cosa ne penserebbe Joyce anche se, è probabile, ne sarebbe sinceramente lusingato.

Marco Travaglini