Luigi Pirandello con la sua opera ha messo a nudo la maschera e la solitudine dell’essere umano, la profondità e la dimensione del relativo assoluto. L’autore innova il tradizionale linguaggio letterario, probabilmente come mai nessuno prima aveva osato. Saltano le strutture narrative dell’unicità e dell’oggettività della realtà, incapaci a descrivere il mondo, prende corpo una letteratura non lineare, non progressiva, non prevedibile, attraverso eterno dialogo e continua metamorfosi. Sembra quasi esserci un nesso profondo con la frattura epistemologica in ambito scientifico di Albert Einstein e la sua “teoria della relatività”, una epocale svolta esistenziale che incontra quella scientifica, dentro la dimensione del nesso tempo-spazio. Tanti, fra Pirandello e Einstein, i grandi autori del ‘900 che seppero interpretare questa tendenza aprendo ad una nuova era della cultura e ad una nuova visione del mondo. E tante le interpretazioni di Pirandello. Celebri e autorevoli commentatori hanno colto nell’autore un sentimento profondo di alienazione del soggetto narrante, la sua “battaglia notturna”, la sua “mischia disperata” con l’esistenza, la perdita di ogni riferimento oggettivo alla realtà. Io ho letto diversamente Pirandello, le sue letture suscitano in me uno spirito di consapevolezza e centratura delle diversità, attraverso un senso del relativo che non trasmette smarrimento e panico ma ancoraggio alla complessità dell’esistenza. Doverosa tuttavia la domanda: esiste davvero un nesso fra Luigi Pirandello e ciò che accadde all’interno della cultura relativista nel ‘900? In quel percorso anti-dogmatico che condusse attraverso la violenza e i traumi del ‘900 al ritorno alle libertà e alla democrazia? Sì, per il Pirandello che io ho frequentato a teatro e ho creato nella mia mente il nesso è profondo. Ogni cultura ha le sue radici, a volte agisce come anticipatrice dei processi, altre come protagonista dei fatti in corso, altre come effetto imprescindibile. Pirandello e il Relativismo novecentesco furono consustanziali ai grandi eventi del secolo e ne costituiscono un’anima nobile, pur nelle contraddizioni profonde dell’epoca che videro ad esempio l’autore aderire al Partito Nazionale Fascista, anche se più per patriottismo garibaldino, che per autentica convinzione, un’adesione politica che spesso imbarazzò il regime, che mal tollerava il relativismo esistenziale del Maestro, al quale fu sempre preferito e senza riserve e imbarazzi Gabriele D’Annunzio, decadente e avanguardista, Vate, “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina. Ma l’adesione al Fascismo di molti intellettuali, fra ingenuo patriottismo e calcolo di bottega, fu un fenomeno assai diffuso negli anni ’20 e ‘30, e fu altresì una spina nel fianco del regime. Era infatti improbabile che un’autentica libera produzione intellettuale, un linguaggio così autonomo e libero, non costituisse, come nel caso di Pirandello, una contraddizione profonda nel sistema. Nel 1934 fu attribuito all’autore il premio Nobel alla letteratura. Riconoscimento autorevole fra tanti alla cultura e ai nuovi linguaggi scientifici e artistici che costituirono robuste linee di resistenza e di lotta alla barbarie nazifascista. Fondamentale per il riscatto delle libertà fu l’anelito della cultura e della scienza, guardando avanti alla prospettiva di un mondo pacificato, di un’Europa unita. Il nostro fu tra i grandi protagonisti di questo processo, fra coloro che contribuirono allo sviluppo e alla costruzione dei nuovi linguaggi della libertà (Testo tratto dal libro dell’autore L’età del Limo).
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