Il Relativismo è una posizione filosofica che nega l’esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.

   Nella antica Grecia (V – IV secolo a.c.) il relativismo filosofico muove i suoi passi con la Scuola Sofistica di Protagora e Gorgia. Gli autori rappresentano, nella loro diversità, un’idea fondamentale del relativismo del Logos e lo prospettano con il rifiuto di ogni metafisica, di quell’impossibilità di conseguire una conoscenza oggettiva e immutabile del mondo.

      È M. de Montaigne (1533 – 92), nel pensiero moderno, che ripropone il Relativismo in un contesto storico di rivoluzioni scientifiche e scoperte geografiche che mettono a soqquadro le antiche e assolute verità. Ne risulta evidente la sostanziale relatività storica in ambito scientifico e conseguentemente in ambito etico e di costume.

   Da queste premesse durante l‘ ‘800 si consolida il Relativismo storico (W. Dilthey, O. Spengler) e lo stesso M. Weber, pur con premesse culturali positivistiche perviene all’inevitabile relatività dei valori in funzione del contesto storico.

   Il ‘900 trasferisce alla Sociologia e alla Filosofia della Scienza le convinzioni del relativismo (K. Mannheim) ed è L. Wittgenstein ad applicarle in ambito linguistico e cognitivo. Poi la Storia della Scienza con T. Kuhn, in particolare nella sua “La Teoria delle rivoluzioni scientifiche” (1962), secondo cui ogni epoca ha i suoi salti qualitativi nell’organizzazione delle culture e dei sistemi scientifici e cognitivi, con specifici criteri e procedure di verifica.

   Quindi in questa direzione K.R. Popper e altri, pur tra mille dispute fra scienziati e autori che sottolineano approcci differenziati di un comune approdo.

   Popper definisce la Scienza un insieme di proposizioni “falsificabili”, che sono ritenute verità solo perché nessuno le ha ancora confutate. Il progresso della Scienza consisterebbe nel fatto che le sue tesi vengono confutate e sostituite da nuove tesi.

   Ed è ancora Relativismo in ambito antropologico e della Sociologia dell’organizzazione umana (F. Boas, B. Malinowski).  E quindi la più grande tra le svolte novecentesche in campo scientifico “La Teoria della Relatività” di A. Einstein, madre di tutte le rivoluzioni scientifiche del secolo, in ogni campo.

   In tutte le epoche il dibattito sul Relativismo, e sulla sua forma minore e specifica, il Costruttivismo, ha portato allo scontro tra svariate forme di “conservatorismo” e “progressismo”; con i progressisti portatori di nuove teorie utili alla conoscenza e i conservatori che temono il sovvertimento di vecchi equilibri che sono soprattutto equilibri di potere. In quest’ultima direzione l’anti-relativista I.C. Jarvie che ha sollevato il tema della minaccia portata verso l’equilibrio del sistema delle relazioni umane e che si è spinto ad accusare il Relativismo di Nichilismo, tema da sempre caro ai conservatorismi delle Chiese religiose.

   Segue appassionatamente questa tendenza, non molti anni fa, l’anatema di Papa Benedetto XVI che si spinse ad accomunare “Nazismo, Ateismo e Nichilismo”, avendo come vero e precipuo obiettivo l’attacco frontale al Relativismo che, a suo dire, si annida nell’Ateismo e nel Nichilismo, ancor più se omologati addirittura al Nazismo (?!).

   È fin troppo chiaro come e perché il Relativismo sia percepito come cultura inquietante da chi ha come scopo principale la difesa di posizioni di potere, in quanto tali di solito vetuste e antistoriche, insomma lo statu quo ante in tutte le sue forme. Cieli diversi sotto i quali vivere, con tolleranza relativistica.