Dopo il crollo del muro di Berlino e il graduale dissolversi del Patto di Varsavia, molti Paesi ex-Sovietici iniziarono ad avvicinarsi alla CEE e poi alla UE (mentre non si è verificato un significativo movimento nella direzione opposta, se non, forse, nel caso della Slovacchia). Nel 1991 la rinnovata pace aveva, finalmente, ripristinato l’antico legame ricco di scambi culturali, che per secoli aveva caratterizzato la vita dei popoli europei. Per parlare dei quali, si potrebbe partire dai pellegrinaggi e dalle fiere del Medioevo che portarono centinaia di persone da Canterbury a Santiago de Compostela, passando per Roma fino a Brindisi e alla Terra Santa. Ma io preferisco fare riferimento ai continui scambi commerciali, che, per secoli, sono stati promotori di incontri tra lingue, modelli economici, filosofie e filoni artistici, soprattutto a partire dal Rinascimento in poi. Scambi e incontri che non si sono mai interrotti, malgrado le guerre, dalla Scandinavia alla Sicilia, dal Portogallo alla Russia. La Cortina di Ferro aveva spezzato violentemente e improvvisamente questi secolari legami tra Ovest ed Est Europa, mentre si profilavano all’orizzonte le due aree d’influenza su cui si sarebbero proiettate le ombre delle due nuove superpotenze. Le vite degli europei, quindi, dovettero proseguire parallelamente nelle due aree, senza che si potesse sapere nulla di ciò che accadeva a Oriente. A scuola si studiavano l’Europa e l’Europa dell’Est, come se fossero stati due continenti diversi. Eppure si intuiva che qualcosa nel mondo comunista scricchiolava, anche se da oltreconfine arrivavano solo notizie (fin troppo) positive. Il conseguente abbattimento del Muro di Berlino venne accolto con grande entusiasmo. Ai telegiornali si ripeteva che non ci sarebbero state più guerre dopo il disgelo tra Gorbaciov e Bush. A ripensarci ora sembravamo degli illusi intenti a cantare “Caro amico ti scrivo”, come se quella utopia fosse stata vera. Eppure la mia generazione nata tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta ci aveva creduto. Come credevamo convintamente nell’UE e l’abbattimento di tutti i confini tra le Nazioni e, una volta cresciuti, viaggiavamo orgogliosamente per studio o lavoro o, anche solo, divertimento in Gran Bretagna o in Francia o nella Repubblica Ceca senza bisogno di passaporti o visti. C’era un’atmosfera neoilluminista che ci faceva sentire cittadini di un mondo senza confini, dove tutte le culture si sarebbero potute incontrare e confrontare pacificamente. Forse non vedevamo più in là del nostro naso, perché l’11 settembre ci colse di sorpresa, la Brexit fu l’infrangersi di una promessa e la Guerra in Ucraina l’amara realizzazione che tutti i giorni della Memoria o del Ricordo o del 25 aprile o del 2 giugno messi insieme, forse, non servono a un granché. Magari era colpa nostra, che non avevamo colto i rischi di una delocalizzazione, ingorda di manodopera minorile sottopagata. Che non avevamo ascoltato il monito di Sartori, il quale ci avvisava che un giorno il gigante asiatico avrebbe fagocitato le nostre economie. Che non eravamo tanto interessati a scoprire perché Putin fosse rimasto sulla cresta dell’onda per vent’anni. Ma oggi ci accorgiamo di dipendere un po’ troppo da regimi non molto democratici per la fornitura di materie prime, prodotti finiti e l’acquisto del nostro debito pubblico. Oggi ci accorgiamo di Putin, schiacciato a Ovest da un Occidente baldanzoso e a Sud da un vicino di casa sempre più ingombrante. Un vicino, con cui condividere il ruolo di superpotenza orientale sarà sempre più complicato, anche solo perché la Cina, vendendo i propri articoli soprattutto all’Occidente, alla votazione per le sanzioni contro la Russia si è astenuta. Così, mentre Putin attaccava l’Ucraina, pensando di sbrigarsela in tre giorni, come per l’annessione della Crimea del 2014, l’Europa ha iniziato a tremare sotto la minaccia della guerra nucleare, il Rublo è affondato, Anonymous ha hackerato i siti russi e la Cina si è messa a osservare da lontano un conflitto, da cui non potrà che trarre vantaggi. Da partner commerciali deboli si possono ottenere accordi molto proficui. Benvenuti nella Seconda Guerra Fredda, dove Stati Uniti e Russia si illudono di essere ancora i veri protagonisti della Storia.