Didier Barra e l’immagine di Napoli nel primo Seicento”

Il mito della città di Napoli e del suo fascino ha radici lontane che ha rapito per secoli regnanti, mercanti, viaggiatori, studiosi. In tanti hanno cercato di catturarne un’immagine per diletto o per ragioni storico scientifiche: piante e vedute, quadri, disegni, incisioni e stampe che hanno raccontato la bellezza, i luoghi, le trasformazioni urbanistiche, gli accadimenti storici.

Fino al 19 aprile 2025 la sezione Immagini e Memorie della Certosa e Museo di San Martino a Napoli ospiterà la mostra “Didier Barra e l’immagine di Napoli nel primo Seicento” che attraverso dipinti, cartografie ed incisioni ricostruisce la Napoli del Seicento, la città più popolosa d’Italia, seconda in Europa solo a Parigi e Londra. Contava circa 40.0000 abitanti, nobili, popolani e plebei, ed era la capitale del regno più importante per la corte di Madrid, soprattutto perché forniva alle casse dell’erario spagnolo un consistente contributo rappresentato da imposte e dazi. 

La certosa barocca con il suo itinerario dedicato alle eccellenze della città, è il luogo ideale alla conoscenza della sua storia e della sua immagine nel tempo. Nelle sale affacciate sul chiostro Grande, la mostra, a cura di Pierluigi Leone de Castris, realizzata dalla Direzione regionale Musei nazionali Campania con il supporto della Direzione generale Musei, si snoda silenziosa e preziosa. Accolgono il visitatore i marmi di un ignoto napoletano della fine del XV secolo che rappresentano Alfonso d’Aragona duca di Calabria a cavallo con due stemmi aragonesi, provenienti dalla Porta del Carmine.

Impossibile non rimanere affascinati dalla Tavola Strozzi,  un dipinto realizzato tramite tempera su tavola, databile al 14721473 che  raffigura “La flotta aragonese che ritorna dalla battaglia di Ischia il 12 luglio 1465”, per il quale è ancora dubbia l’attribuzione, esempio delle tecniche di rappresentazione nel’400. Seguono diverse acqueforti, incisioni, xilografie che mostrano la descrizione della città nel corso dei secoli e i metodi utilizzati.

Il nucleo dell’esposizione è costituito dalle vedute dipinte attribuiti alla bottega di Didier Barra e François de Nomé, due artisti originari di Metz, in Lorena, che lavorarono a Napoli durante il XVII secolo. Per molto tempo è stato difficile distinguere le loro opere collettivamente conosciute come eseguite da “Monsù Desiderio“. La raccolta, tuttavia, si propone di ricostruire, soprattutto, la figura di Didier Barra giunto in citta intorno al 1630. Qui frequentò principalmente un gruppo di pittori paesaggisti e vedutisti provenienti dal Nord Europa e lavorò in collaborazione con Belisario Corenzio. Suggestive le sue vedute nelle quali al dettaglio minuzioso e alla ricchezza di particolari si aggiungono gli effetti di luce che, magistralmente modulati, creano effetti atmosferici affascinanti. Ecco “La veduta di Posillipo da Castel dell’Ovo”, “La veduta di Napoli dal mare” o la tela di Onofrio Palumbo e Didier Barra che raffigura “San Gennaro che protegge la città di Napoli”, non legata ad un evento particolare ma piuttosto a una profonda devozione verso il santo patrono. Barra, forse, si formò come cartografo presso il pittore e incisore vedutista Alessandro Baratta, autore di una mappa della città di Napoli del Seicento, andata presumibilmente perduta,  distrutta dalla furia delle bombe del 4 agosto1943. Pare che  la mappa fosse  custodita presso il deposito delle opere d’arte da proteggere conto i rischi della guerra, in uno dei locali della Mostra d’Oltremare a Fuorigrotta anche questa andata quasi del tutto distrutta. Fu ridisegnata nuovamente nel 1872 ed acquisita dal Museo di San Martino. Per interesse della Banca Commerciale Italiana fu riportata alla pubblica consultazione confluendo per questo scopo nel fondo patrimoniale Intesa San Paolo che la collocò nelle sale della galleria di Palazzo Zevallos a via Toledo finché nell’ottobre del 2015 la mappa è nuovamente ritornata al Museo di San Martino.

La mostra prosegue con dipinti che immortalano i vari luoghi della città: Il Tribunale della Vicaria, Piazza San Domenico Maggiore, Il Largo del Mercato, Largo del Castello. Meravigliosi sono le tele di Domenico Gargiulo, Micco Spadaro,  pittore barocco, paesaggista, che ha soprattutto documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo: eruzioni, epidemie, rivolte.  In esposizione “La rivolta di Masaniello”, “La punizione dei ladri al tempo di Masaniello” e, soprattutto, L’eruzione del Vesuvio del 1631, vera e propria istantanea di un evento epocale, la processione popolare svoltasi con le reliquie del santo e il suo intervento miracoloso che salva la città dalla furia del vulcano.

Opere di emozioni intense che travalicano il significato artistico perché, come ebbe a scrivere Raffaele La Capria: “Guardando quei quadri, che non mi sembrano neppure “belli” (nel senso che non mi viene di giudicarli dal punto di vista estetico) si esce dalla pittura dell’epoca, e direi, si esce dalla pittura, per entrare in un’altra dimensione, terribile, delle “cose realmente accadute”; nei colori e nelle figure sembra di vedere coagulato il furore di un popolo di miserabili”.
Il mito di Napoli si racconta così, con le sue immagini belle e tragiche, realistiche e visionarie che fermano nel tempo sfumature di un dramma universale.