Ha un lungo percorso di vita alle spalle e s’intuiscequalcosa di ancora irrisolto l’avvocato Jean Monier quando arriva quella telefonata, una sera, mentre ospita a cena l’ex moglie.
Lo squillo interrompe la magia di una dolce, complice e controllata intimità: come a sospendere, ancora una volta, un discorso che fra loro sembra continuare da tempo.
La donna viene convocata d’urgenza in gendarmeria per la convalida del fermo di una persona.
La sua presenza di avvocato è necessaria, ma lei è stanca e chiede a Jean di sostituirla per consentirle di tornare a casa propria. Lui, che da tanti anni non fa più l’avvocato penalista, esita, ma infine accetta.
Comincia così, nella gradevole penombra di un salotto retrò della Camargue Francese, la vicenda che segnerà, ancora una volta, l’esistenza di Monier.
Pochi e significativi fotogrammi descrivono l’incontro col detenuto nel parlatorio: un uomo disorientato e incredulo per l’incomprensibile accusa di omicidio della moglie.
Monier sembra cercare qualche reazione in quell’uomo addolorato, così così lontano dall’archetipo dell’uomo violento. La sua protesta d’innocenza è più rassegnata che ribelle: come se fosse emotivamente disarmato.
Tutto ciò tocca profondamente Monier. Attraverso lo scambio di sguardi fra i due uomini, si comprende che sta nascendo, nell’animo dell’avvocato, un sentimento imprevisto: lo sconcerta il contrasto fra il dolore per la moglie e per i loro figli e la sua sconcertante remissività.
Immediatamente, e in modo inatteso, il disilluso Monier sente il richiamo antico dell’istinto a difendere chi ha bisogno di lui: un padre che rischia una condanna che distruggerebbe la sua famiglia. Così, nonostante il peso del trauma che l’aveva portato ad abbandonare il penale quindici anni prima, accetta di occuparsi del caso.
La narrazione si snoda attraverso il processo e i flashback che ricostruiscono gli anni di detenzione preventiva di Nicolas. I suoi figli, accolti in un istituto, stanno crescendo senza di lui, mentre Roger, un amico accusato di complicità nell’omicidio, muore in circostanze drammatiche. Monier, convinto dell’innocenza di Milik, si spinge oltre i limiti del suo ruolo professionale, attirando le critiche della sua ex moglie. La difesa diventa sempre più difficile: Milik, enigmatico e distante, sembra sabotare le strategie del suo avvocato, mantenendo un atteggiamento catatonico che disorienta tutti, compresi i giudici.
I testimoni forniscono versioni frammentarie e soggettive, sollevando interrogativi sulla validità dei ricordi e sulla linea sottile tra verità oggettiva e percezione personale. La tensione del processo non si limita al confronto tra accusa e difesa, ma si manifesta soprattutto nel conflitto interiore di Monier, diviso tra razionalità, etica e un senso di responsabilità sempre più personale verso il suo assistito.
La scena clou del film è il dibattimento in Corte d’Assise. La requisitoria del pubblico ministero è incisiva, ma è la difesa di Monier a emergere per la sua lucidità e intensità. Egli insiste sul principio fondamentale del dubbio, che in situazioni di incertezza deve prevalere per garantire giustizia. Tuttavia, fino a che punto può essere applicato questo principio? Il finale riserva colpi di scena che sottolineano come la realtà possa essere più imprevedibile della fantasia.
“La misura del dubbio” è un dramma giudiziario sofisticato, ispirato a una storia vera. Lontano dai cliché hollywoodiani, il film si distingue per una narrazione sobria e realistica, che affronta temi profondi con eleganza e misura. La dinamica processuale è formale e composta, ma la tensione emotiva è palpabile in ogni scena.
Daniel Auteuil è straordinario nel doppio ruolo di protagonista e regista, regalando al personaggio di Monier una profondità rara. Grégory Gadebois è perfetto nel ruolo di Nicolas Milik, enigmatico e vulnerabile, mentre Sidse Babett Knudsen interpreta con maestria l’ex moglie di Monier. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Auteuil insieme a Steven Minz, si distingue per la capacità di equilibrare complessità morale e linearità narrativa.
Un film che non cerca il facile intrattenimento, ma coinvolge lo spettatore con una riflessione acuta sul senso di giustizia e sul ruolo dell’avvocato, capace di difendere anche quando la verità sembra sfuggire.