Il motto, presente in tutte le aule dei tribunali d’Italia non è una legge, ma un principio su cui si fonda qualsiasi ordinamento giuridico vigente in un paese democratico.
È giusto peraltro che in una democrazia si dia fiducia alle istituzioni e a quanti svolgono un ruolo all’interno degli apparati istituzionali. Tale fiducia non può e non deve peraltro essere assoluta, perché sarebbe cieca e si convertirebbe in una forma di supina obbedienza da parte dei cittadini nei confronti di altri che siano investiti di una qualche autorità, di questa autorità potendo all’occorrenza approfittarsi indegnamente.
Purtroppo le cronache riferiscono di militari, carabinieri e poliziotti che picchiano, seviziano, perfino uccidono le loro conviventi o compiono altri tipi di reati. È ovvio che si tratta di persone che non avrebbero dovuto abbracciare una carriera che non fa per loro. Ma anche questo è un fatto che succede. Come succede anche che ci sono funzionari pubblici corrotti e incapaci; professori impreparati che sono a mala pena informati circa quel che insegnano; medici incompetenti che mandano all’altro mondo i loro pazienti ed esistono anche, senza scandalo per nessuno, politici che hanno atteggiamenti assai disinvolti, al punto che spesso ritrattano quel che hanno detto sostenendo di essere stati fraintesi.
Venendo agli uomini e alle donne in divisa, siamo tutti dalla loro parte quando compiono il loro dovere, ma non possiamo essere dalla loro parte quando sbagliano. O meglio siamo dalla loro parte anche quando sbagliano, purché ammettano d’avere sbagliato, sottoponendosi al giudizio dei superiori e, nel caso in cui ciò fosse necessario, del magistrato inquirente, collaborando coscienziosamente fino ad ammettere i propri torti se vi sono.
La divisa non serve perché chi la indossa vi si nasconda dentro. Non dà neanche un’identità. Va portata cercando di fare del proprio meglio per renderle quell’onore che si spera si senta che ad essa spetti. Da questo punto di vista dovrebbe essere un incentivo ad agire con coscienza, nel rispetto delle leggi e dei principi ispiratori delle leggi vigenti.
Non sono pochi gli italiani che hanno uno spiacevole ricordo dei fatti di Genova accaduti nel luglio del 2001 nel quadro dell’incontro dei capi di governo degli otto paesi più industrializzati del mondo. In quell’occasione cittadini italiani e stranieri, tra cui alcuni minorenni, subirono maltrattamenti (si parlò di vere e proprie torture) e il governo allora in carica fu oggetto di critiche giustificate e da tanti condivise. Nessuno, a quanto pare pagò. Alla distanza, e ripensando ad alcuni esponenti politici, e non solo, allora implicati, direi che certi errori finiscono col pagarsi comunque. Sta di fatto che alcune figure uscirono pian piano dalla scena politica e si può intuire che perfino alcune promozioni valsero delle rimozioni.
I giochi della politica ammettono in certe occasioni un po’ di spregiudicatezza per cui talvolta le regole che pure dovrebbero valere si mettono da parte. Questo però può accadere quando ci sono trattative diplomatiche in corso, con alleati difficili ai quali bisogna concedere qualcosa. In materia di ordine pubblico, che è materia squisitamente interna e che riguarda il rapporto delle istituzioni nei confronti dei cittadini – che votano, giudicano, ricordano, criticano, per queste vie esercitando la sovranità popolare, sancita dalla Costituzione – derogare al principio “la legge è uguale per tutti”, significa forzare i giochi oltre il consentito. Non ci si può appellare a pressioni che vengono da fuori in questioni che riguardano la politica interna di un paese.
Infine non posso avere ragione sempre solo perché indosso una divisa e non è giusto indirizzare a dei giovani, che devono imparare a servire lo Stato in un ruolo difficile, delicato e importante, messaggi così equivoci. Si rischia di fare il loro danno. Un domani il politico potrà dire d’essere stato frainteso e che voleva dire tutt’altro da quel che tv e stampa hanno diffuso. Un carabiniere o un poliziotto che vanno sotto processo, perché si sentono eroi che combattono la mala anche quando hanno a che fare con dei ragazzini, è una tristezza e che si aggiunge al dispiacere, alla rabbia di vedere correre il sangue nelle nostre strade.
Mi dispiace: LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI.