Circa venti anni fa seppi di una signora che viveva nell’hinterland torinese e che possedeva “doti” speciali. La persona che mi aveva parlato di lei, una cara amica, era una agnostica costituzionale e quando mi raccontò di essere rimasta colpita, mi incuriosii. Così le chiesi di portarmi da lei per incontrarla.

 Arrivammo in una zona popolare di Settimo T.se e salimmo al quarto piano di un palazzone decoroso ma assolutamente ordinario. Venne ad aprirci una donnetta bassina, paffutella, dal viso tondo e serafico, sorridente e che ci accolse in modo benevolo. Nulla a che vedere con l’immagine iconografica della sensitiva dagli occhi bistrati, indagatori e spiritati, nessun antro illuminato da lampade velate né odore di incenso. La casa era ordinaria e la sensitiva ci ricevette nel suo studio con fare gentile; scoprii più tardi che era buddista e paladina dei Diritti Umani, era appena tornata dal Cile dove era andata a manifestare conto Pinochet.

Mi chiese solo il nome di battesimo, la data di nascita e il luogo.

Dopo aver consultato il libro delle Efemeridi cominciò a tracciare su di un foglio, che recava stampato una sorta di quadro astrale, delle linee con una squadretta; l’operazione durò qualche minuto e al termine la signora, dopo aver tirato un profondo respiro, aver socchiuso gli occhi e aperto la bocca in un ampio sorriso, iniziò a raccontare.

Mi disse che avevo due figli, che facevo un lavoro di “parole”, intendendo che ne dicevo e scrivevo molte, illustrò il mio carattere, che avevo fatto studi scientifici, mi disse persino che ero sposata con uno straniero, un Nordafricano con gli occhi verdi, aggiunse meravigliata, figuriamoci io….

Ad un certo punto mi chiese se da piccola facessi sogni ricorrenti e se avessi subito qualche danno fisico. Le raccontai che sino ai dieci anni circa, quasi tutte le notti facevo un sogno che raccontava di castelli, ponti levatoi e fiamme, poi mi ricordai di essermi ustionata seriamente ben due volte nei primi anni di vita.

Sempre dolcemente mi spiegò che avevo vissuto altre volte prima di questa e che nella penultima ero stata una religiosa alla fine del 1200, che aveva abbandonato i Sacramenti per seguire i Cavalieri Templari, per questo i castelli in fiamme, ed ero stata imprigionata e lasciata morire di inedia; nell’ultima vita prima dell’attuale, alla fine del 1600, ero una suora negli Stati Uniti, a Salem per l’esattezza, e che ero esperta di erbe e curavo la gente. Questa mia capacità mi costò l’arresto per stregoneria, subii un processo e siccome non abiurai, venni condannata al rogo e arsa viva…

La signora mi disse che da piccina ero caduta nel fuoco perché esiste sempre una relazione tra l’ultima vita vissuta e quella attuale e che la mia missione di “curare” il prossimo, l’avevo perpetrata con gli studi di Biologia e Medicina.

Devo ammettere che uscii turbata da quell’incontro.

Ho sempre saputo di avere qualche dote strana, la mia “sensibilità” animalesca, l’amore per la Natura, le Scienze, la passione di curare le persone, la mia empatia speciale. In fondo mi sono sempre sentita una strega e credo di possedere qualche senso in più, ma poi che male ci sarebbe se davvero lo fossi? Per di più ho una bisnonna beneventana (Benevento era considerata la città delle streghe) e da sempre ho vissuto esperienze speciali con altri mondi.

In effetti contro ho solo secoli, anzi millenni di persecuzioni, odi, antipatie e tabù, poi sono anche femmina e madre e questo peggiora le cose.

Ma da dove nasce tutta questa antipatia, questa paura nei confronti delle donne?

E si, perché quel che hanno in comune le streghe e le madri è appartenere allo stesso genere!

Da studiosa di Scienza so che la Natura è femmina e che al nostro genere l’Evoluzione ha conferito il dono di creare la vita e questo deve aver dato molto fastidio ai maschi: una forte invidia nei nostri confronti e soprattutto nei confronti di tanta capacità.

La cellula come unità base di un organismo vivente, è in grado di replicarsi autonomamente, senza contributi esterni, quindi è femmina e conserva in se una totipotenza che spaventa. I cinquecento milioni di anni di evoluzione degli animai e poi dei Vertebrati, che hanno prodotto l’Homo Sapiens e lo hanno posto in cima alla catena predatoria, insomma noi non abbiamo nemici in natura. Durante i lunghissimi millenni che dagli Ominidi ci hanno portato sin qui, il ruolo della femmina si è specializzato e adattato alle necessità. I maschi cacciavano e le femmine raccoglievano e si occupavano della prole, grazie alle differenti dotazioni muscolari, più scarse nelle femmine; con la scoperta del fuoco i compiti vennero ulteriormente suddivisi e a queste ultime toccò di modificare il cibo procacciato, per aumentarne la digeribilità e la conservabilità. Il cervello crebbe, si costruirono i primi utensili e si elaborò il linguaggio. Grazie alla suddivisione dei compiti i maschi svilupparono un encefalo con maggior volume,  per gestire un imponente apparato muscolare, le femmine, che avevano corpi più minuti, aumentarono la superficie della corteccia cerebrale a scapito dei neuroni motori, per gestire le attività manuali, relazionali e di cura dei piccoli. L’encefalo femminile infatti pesa meno ma un maggior numero di circonvoluzioni cerebrali.

Ecco, i problemi nacquero proprio allora!

Il corpo dei maschi era massiccio e resistente agli sforzi immediati, necessitava potenza per cacciare gli animali e resistere all’ambiente ostile, quello delle femmine era meno muscoloso ma capace di reggere gli stress prolungati. Partorire non è facile neppure ora, figuriamoci milioni di anni fa.

Quindi la Natura ci selezionò resistenti e tenaci, seppur apparentemente fragili. Inizialmente i clan erano composti da maschi ”alfa”, che avevano dei veri e propri harem di femmine, e da gregari, che si accontentavano per così dire, della benevolenza dei capi, non c’erano ancora famiglie identificate. Quando in epoche più recenti l’Uomo diventando stanziale iniziò a praticare l’agricoltura e la pastorizia, aumentò la disponibilità di cibo e iniziarono ad accumularsi “le proprietà”, cioè le derrate alimentari e gli strumenti per gestirle, e con esse la necessità di individuare chi fosse l’erede di quei beni. Qui nacque la coppia definita, le unioni “certificate” dalla comunità e quindi la certezza sulla paternità dei nuovi nati, che avrebbero ereditato “la robba”.

Con la famiglia nacquero i tabù sessuali, necessari non solo a garantire la sicurezza della discendenza, ma anche a gestire la forza lavoro necessaria in una società umana complessa. Capi, gregari, soldati, ministri di culto, agricoltori, pastori e artigiani: ognuno  con un ruolo stabilito.

La società primitiva era già maschilista, poiché dei maschi erano i ruoli pubblici e di rappresentanza, mentre la donna si dedicava alla sfera privata e affettiva.

Sin dalla notte dei tempi la femmina era riconosciuta capace di attività inspiegabili, “magiche”: il suo sesso sanguinava ogni mese ma inspiegabilmente lei non moriva, la vagina ingoiava il pene turgido, simbolo della possanza e della fertilità, e lo restituiva flaccido, quindi privava il maschio di una sua manifestazione di potere, e in conseguenza di questo atto, concepiva e dava la vita.

Come non comprendere questi poverini?

Così l’idea che la donna fosse magica si radicò e quando si arrivò alla creazione dei tabù, la poverina ne divenne l’oggetto principale.

La sessualità ne fece le spese maggiori e in quasi tutte le società umane sparse per il Pianeta, il piacere fu precluso alle donne, se non in conseguenza di specifiche concessioni.

La vagina ha sempre fatto paura ai maschi e di questo le donne patiscono: un mostro dalla sembianze invitanti, retaggio di queste paure ancestrali, si aggira negli incubi degli uomini da decine di millenni ma il periodo peggiore iniziò con la nascita delle Grandi Religioni, che mortificarono il ruolo della donna, quasi ovunque. La Bibbia attribuisce alla donna il peccato originale e la capacità di gettare scompiglio nel Paradiso terrestre. Per l’errore di Eva, Adamo si ribella a Dio e Questi marchia con l’infamia tutte le figlie di Eva; così la donna che partorisce è impura, come pure quella mestruata ed entrambe devono purificarsi lontano dal villaggio. Essa non ha voce in capitolo e non ha diritti legali: «la donna è frivola, stupida e ignorante» (Bibbia, Prov. 9: 13). Anche l’Islam non scherzae il profeta Maometto afferma: «Ho visto che la maggior parte […] nel fuoco dell’inferno sono donne… [Poiché] esse sono ingrate verso i loro mariti e deficienti in intelligenza e religione. Esse sono pericolose e impure nei loro corpi e nei loro pensieri. Io non tocco la mano delle donne e bisogna impedire loro d’imparare a scrivere».

Tutte le religioni monoteiste sono irriverenti e disprezzano la donna, che è accettata solo come madre. La Chiesa Romana non è da meno e la sua dottrina è semplice: «l’uomo e la donna sono uguali nell’ordine sovrannaturale, ma l’uomo è superiore alla donna su un piano naturale». S. Paolo scriveva: «La testa del Cristo è Dio, la testa dell’uomo è il Cristo, la testa della donna è l’uomo» (I Cor. 11: 3). Fu l’apostolo a stabilire le regole del comportamento femminile, ordinando alla donna di coprirsi la testa in chiesa. «L’uomo non deve coprirsi il capo perché egli è l’immagine della gloria di Dio, ma la donna non è che la gloria dell’uomo» (I Cor. 11: 7). Il velo resterà il simbolo della sottomissione femminile e non solo per il Cristianesimo, poiché fu adottato anche dalla religione musulmana, che estremizzerà il suo uso. Queste considerazioni porteranno la donna ad essere trattata alla stregua di un bene ed ella passerà dalla tutela del padre a quella dello sposo.

Nel Cristianesimo, grazie all’interpretazione maschilista dei Vangeli, si consolidò la supremazia degli uomini e la Chiesa diede prova di una misoginia diffusa. Nel periodo medioevale alle donne vennero addossate le peggiori responsabilità di malattie, disgrazie e ingerenze diaboliche e iniziarono le persecuzioni, che portarono alla caccia alle streghe dell’Inquisizione. Nell’iconografia di quel periodo la porta dell’Inferno era spesso rappresentata da una vagina dentata e questo la dice lunga sulla concezione futura del ruolo femminile. La vagina, e per conseguenza la donna, spaventava e lo fa ancora nella società attuale, nonostante il richiamo alla sfera femminile e sessuale sia onnipresente ai giorni nostri; millenni di paure non si cancellano neppure con la tecnologia e il progresso.

Dicevo che la donna per prima cosa è “Madre”, colei che concepisce e da la vita ma è questo suo potere ancestrale che sta alla base della misoginia; tornando al “peccato originale”, in che modo la donna imputata di aver traviato il povero Adamo, poteva espiare cotanta colpa? Di lei non si poteva fare a meno, pena l’estinzione della Specie e allora si è pensato di colpirla nella sfera sessuale: non le è concesso vivere il sesso con piacere ma solo per dovere di buona moglie e per procreare e quando dovrà far nascere il frutto dell’amplesso, dovrà farlo soffrendo. “Tu donna partorirai con dolore”, questo recita la Bibbia, la maternità è il supremo sacrificio e per la donna la sofferenza rappresenta una continua espiazione, il dolore fisico viene assimilato al dolore spirituale, il primo porta alla guarigione dell’anima attraverso il dolore, il secondo attraverso il pentimento.

Questo è il concetto tutto maschile e diffuso del ruolo della donna nelle società umane, ma le stesse donne che dicono della necessità di soffrire?

Credo che considerino ancestralmente  il parto un rito di passaggio, di iniziazione, da doversi suggellare con sangue e dolore, come se dovendo per forza soffrire, perché così è scritto, meglio essere capaci di farlo. Del resto ogni donna deve dimostrare di poter partorire, proprio come ne sono state capaci le madri e le nonne,  quindi deve meritarsi il ruolo di madre. Si tratta di una sorta di esame di abilitazione che rilascia il patentino di donna perfetta; perché per la mentalità radicata, le donne devono dimostrare sempre qualcosa, devono sacrificarsi e soffrire, pena la diminuzione del loro valore, anzi, pena la giustificazione della loro presenza nel Creato.

Sin dai tempi più remoti le donne si sono riunite in gruppo per assistere le partorienti, in una sorta di cerchia esclusiva dalla quale erano banditi i maschi e alcune di loro raccoglievano erbe e radici per lenire i dolori; con il termine “strega” si intende la donna che possiede il sapere erboristico e alla credenza popolare moderna, concorreranno la letteratura antica con i suoi miti e la religione. La notte con il chiaro di luna, momento sacro alla Dea Lunare, le streghe uscivano per raccogliere le piante dai poteri taumaturgici; la dea era servita da demoni femminili che succhiavano il sangue dei neonati. Con questa spiegazione gli antichi si davano ragione della alta mortalità infantile; da qui nacque l’idea della strega-osterica, che suggeva il sangue per il demonio. Nel calderone delle streghe vi erano acqua e fuoco, erbe e sangue, placente, cordoni ombelicali, aggiunti per propiziare la Dea e il parto; per questo le ostetriche venivano perseguitate e considerate delle streghe nascoste. Ricordo che da bambina sentivo le donne e le vecchie parlare male delle ostetriche, considerate poco serie perché oltre a far partorire provocavano aborti, e per questo potevano concedersi ai piaceri carnali senza correre rischi: le antiche credenze resistevano ancora.

 Secondo la tradizione del Sud italiano, le streghe si radunavano per i sabba nei boschi di noci attorno alla città di Benevento, luogo di cui era originaria la mia bisnonna e che avvalora i miei sospetti di appartenenza alla categoria. Da bambina mio padre mi raccontava di episodi che mi riempivano di terrore, diceva che quando era ragazzetto e abitava nella masseria di campagna in Puglia, a volte al mattino trovavano i cavalli coperti di schiuma e con le code intrecciate, le streghe li avevano cavalcati di notte per andare ai sabba e li avevano riportati esausti. Queste credenze resistono ancora  presso le culture rurali di tutto il Paese e in fondo rispondono ad una convinzione radicata, che in quanto tali, le donne abbiano una struttura fisica difettosa e che abbiano poteri occulti. Esse infatti sono state create da Dio a partire da una costola, che è curva e storta; essendo imperfetta per natura, non può che recare danni al genere umano.

Si è quindi sviluppata nel tempo una “ginecofobia” di base che neppure il Femminismo del XX secolo e l’emancipazione del periodo attuale riescono ad eradicare completamente, si assiste ancora alla considerazione positiva del ruolo della donna nella società, solo se legato alla funzione naturale di sposa e madre, considerata sia come dimensione fisica che spirituale. Una delle domande più comuni fatte ad una donna è:”hai figli? Si?”, bene: “Non hai figli?, ma ne vuoi?” E se la risposta è no, la si guarda male, come se rivendicare la propria autonomia riproduttiva sia peggio del peccato originale.

Dissertando sulla donna-madre-strega mi è venuto da pensare come sia facile, anzi, come risponda ad una esigenza umana dare nomi a persone e ruoli e proprio in relazione a questi, nonostante siamo all’alba del terzo millennio, perché resistono le etichette e i giudizi? Non sarà per nascondere la crisi di identità più grave dell’evoluzione sociale umana?

Credo di si. Stiamo vivendo in una società in crisi tanto di “femminile”, quanto di “maschile”. Mancano le (vere) donne e i (veri) uomini, ognuno consapevole di quale apporto può dare ad un sano rapporto di coppia, per la costruzione di una società sana. Come uscire da questa condizione di stallo e riportare ognuno a ricoprire il proprio ruolo, nel rispetto e nella stima reciproca, per una  naturale differenza di genere, che possa arricchire entrambi i sessi? Si accettano proposte…

Mara Antonaccio