In Corea per la prima volta ci sono andato a 32 anni ma, in realtà, la conoscevo sin da bambino. Sì, perché mio padre Gianluigi adorava quella terra e in famiglia ne parlava proprio come della sua seconda Patria, e bisognava sentire in che maniera ne descriveva la cultura e gli usi del popolo… Ascoltarlo parlare della Corea, di eventi bellici (il mitragliamento della colonna di cui faceva parte, per cui rimase anche ferito, il “misterioso” incendio dell’ospedale dove, però gli italiani riuscirono a portare in salvo tutti i ricoverati), ma anche della vita di tutti i giorni e dei suoi contatti con la gente comune, per noi bambini era come ascoltare una favola! Mio padre è stato direttore della farmacia dell’Ospedale Militare italiano a Yong Dung Po, durante la guerra e nel suo studio era esposto con orgoglio il diploma che gli conferiva la cittadinanza onoraria di Seoul. Un grosso settore della sua biblioteca, inoltre, era dedicato a libri di argomento coreano e con l’età della ragione iniziai a leggerli. Fu così che conobbi splendide figure del patriottismo coreano, come Dosan Ahn Chang-ho, la coraggiosissima Ryu Gwansun, che mi affascinava per la giovane età in cui dimostrò il proprio patriottismo, non a chiacchiere ma con i fatti, Ahn Joong-Jun, che trovavo così simile, per la vita, le azioni e le idee, a Guglielmo Oberdan, il nostro martire dell’Irredentismo. Poi conobbi, solo in teoria all’inizio, la cucina coreana, che mia madre magnificava oltre ogni dire. Mi catturava anche il folclore coreano, con le fiabe ad esso collegate, le cui radici affondano nell’antico sciamanesimo. Quando fui più grande e lessi le opere sullo sciamanesimo di Mircea Eliade e altri grandi storici delle religioni compresi meglio il tutto, tutto ciò che da bambino e da ragazzino mi aveva fatto sognare. Provavo un fortissimo fascino anche la storia antica coreana e per le intricate vicende del Regno Silla. Mio padre tornava abbastanza spesso in Corea, accompagnato da mia madre. Un giorno volle che lo accompagnassi io. Non vi dico l’emozione nel vedere che, nel settore del Museo della Guerra di Seoul dedicato all’Italia, era esposta proprio l’uniforme originale indossata da mio padre! Giravo per Seoul a visitare i musei ma, quando potevo, visitavo anche i quartieri popolari, infilandomi in ristorantini dove di solito i turisti non vanno. Seduto per terra accanto a gente comune, assaggiavo finalmente quelle specialità di cui avevo letto nei libri e sentito magnificare da mia madre, gustando persino il gomguk, che non mi è mai capitato di vedere offerto nei ristoranti coreani in Italia. Nei pressi delle scuole superiori attaccai bottone, come si suol dire, con alcuni studenti e studentesse. Gli chiesi di farmi sfogliare un libro di storia e notai, piacevolmente sorpreso, che vi erano numerosi e notevoli riferimenti alla storia italiana (lo capii, non conoscendo il coreano, dalle cartine geografiche e dai nomi dei personaggi, trascritti tra parentesi in alfabeto latino). Mi vergognai un po’ perché, invece, da noi nulla si conosce della storia coreana. Notai che gli abitanti delle due penisole, pur così lontane, avevano anche caratteri comuni e le canzoni che si sentivano alla radio, per le loro melodie, sarebbero potute piacere anche da noi. La gente quando, chiacchierando, veniva a sapere che ero il figlio di un reduce della guerra di Corea, mi riempiva di complimenti e ringraziamenti (i quali, semmai, sarebbero dovuti essere rivolti a mio padre) che mi confondevano e m’imbarazzavano un tantino… Mio padre si augurava di poter vedere un giorno la Corea finalmente unita, senza ulteriore spargimento di sangue fraterno, ma con l’abbraccio del popolo coreano oggi separato da un’iniqua frontiera. Ripeté questo concetto anche a una delegazione di artisti coreani giunti in Italia nel 2011, 150° anniversario dell’Unità d’Italia, i quali si erano rallegrati della ricorrenza. Mio padre li ringraziò e si disse però rattristato che la Corea dovesse ancora raggiungere quel nobile obiettivo, e sacrosanto diritto di ogni popolo, che è, appunto, l’unità nazionale. E’ mancato purtroppo, senza poter vedere realizzato quel suo desiderio. Rimasi molto impressionato da Pammunjon, simbolo della divisione del Paese. Speriamo che presto diventi non più il simbolo della divisione della Corea, bensì una semplice stazione della linea ferroviaria Seoul – Pyongiang e che i Coreani siano finalmente liberi ed orgogliosi di spostarsi entro i confini della loro meravigliosa Patria, per sempre unita! Indimenticabile è stato, poi, il soggiorno nell’isola di Cheju, una vera perla che rende ancora più bella la già stupenda Corea. Ho ancora negli occhi l’immagine della cascata Chongbang, che cade direttamente nel mare. E mi sono portato a casa la riproduzione di un harubang, tipico genio benefico delle case dell’isola, uno spirito protettore della casa e della famiglia, la cui tradizione è presente solo a Cheju. Molte coppie coreane scelgono l’isola come meta del viaggio di nozze e notavo che molte giovani spose fregavano il naso dell’harubang, ritenuto propiziatore di fertilità…! Altra località che mi ha entusiasmato è stata Kyongju, la capitale dell’antico Regno di Silla. Il Museo Nazionale con le sue ricche collezioni archeologiche, l’antichissimo osservatorio Cheomseongdae e tutte le aree storiche dei dintorni fanno rimanere incantati. Per la prima volta, accompagnato dalla guida, una simpatica ragazza devota buddista, entrai in un tempio buddista e mi comportai con il massimo rispetto. La guida rimase stupita poiché, diceva, la maggior parte dei turisti occidentali non si comportava con altrettanto rispetto. Le risposi che, pur essendo cristiano, ritengo esistano tante vie per avvicinarsi al Divino. In gioventù avevo letto molti testi religiosi buddisti e ricerche serie su questa religione. Mi sforzavo, inoltre, di vedere gli aspetti che univano le varie fedi, non ciò che le differenziavano e, per rimanere in Corea, come non paragonare il martirio dell’alto ufficiale Ichadon, proprio a Kyongju, che venne decapitato per non rinnegare la propria fede, e i primi cristiani che fecero altrettanto? Rimase letteralmente a bocca aperta perché evidentemente, purtroppo, non aveva mai sentito un occidentale parlare in tal maniera. Per ciò che mi riguarda, ma non vado oltre perché esula dalla tematica di questo scritto, ho trovato molte e profonde verità spirituali in numerosi testi del Canone Buddista. Altra passione “coreana” è quella…per la filatelia! Mio padre era un appassionato collezionista di francobolli e, quando era in Corea, mandava qualcuno all’ufficio postale per procurarsi i francobolli man mano che venivano emessi. Tra il 1951 ed il 1952 venne emessa una lunga serie di 44 francobolli per onorare tutte le nazioni che avevano aiutato la Corea a difendersi dall’aggressione comunista: per ogni nazione erano emessi due francobolli, rispettivamente di colore verde e azzurro, con la bandiera coreana e quella del Paese amico. Il 25 ottobre 1951 vennero emessi i francobolli per onorare l’Italia ma… la bandiera italiana era quella precedente il giugno 1946, con lo stemma di Casa Savoia e la Corona Reale sul bianco del Tricolore! In seguito a proteste ufficiali i francobolli vennero ritirati (rappresentano, per la filatelia coreana, ciò che è il “Gronchi Rosa” per quella italiana). Furono riemessi il 10 febbraio 1952, senza più la Corona reale ma ancora con lo stemma di Casa Savoia! La passione per la filatelia fece sì che mio padre potesse procurarsi entrambi i francobolli, anche su busta annullata con il timbro del giorno di emissione. Quando divenni grandicello, mi regalò la sua collezione, ferma agli anni della guerra (i francobolli di quel periodo sono, peraltro, i più pregiati e ricercati dai collezionisti) e io, che avevo da lui ereditato anche la passione per la filatelia, continuai la collezione e sono uno dei non moltissimi collezionisti di francobolli coreani in Italia. In Corea sono andato per tre volte, una di esse con mio figlio per comunicare anche a lui, e ritengo di esserci riuscito, l’amore per la Corea, penisola così lontana, ma così sorella. Mio padre divenne, ad un certo punto, il Presidente dell’Associazione Reduci Italiani della Corea e ho avuto quindi l’opportunità di conoscere molti di loro, molti Addetti Militari coreani presso l’Ambasciata a Roma che si sono succeduti in questo incarico, molte personalità coreane in occasione d’incontri ufficiali e privati. Sulla tomba di papà, nel cimiterino di montagna ove riposa accanto a mamma, sventola una piccola bandiera coreana. Sul suo ricordino funebre volle un verso di un poeta e patriota coreano che apprezzava molto, Yun Dong-Ju: “Possa guardare in alto il cielo fino al giorno in cui muoia senza neppure un briciolo di vergogna”. E poi la strada che mi è stata assegnata dovrò percorrere”. Ecco, la Corea per me è strettamente e indissolubilmente legata a grati ricordi familiari. Mio padre è riuscito a trasmettermi l’amore per questa terra e posso francamente dire, sembrerà strano a chi leggera queste righe, che la Corea è una parte di me.
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