Durante l’Undicesima battaglia dell’Isonzo, combattuta tra il 17 e il 31 agosto del ’17 sul fronte nord est della Grande guerra, si mise in luce un giovane studente, simpatizzante socialista e convinto neutralista: Sandro Pertini. Nato a Stella, in provincia di Savona, il 25 settembre 1896, era stato chiamato alle armi a metà del 1916. Destinato in un primo momento al 25° Reggimento di Artiglieria, 1^ Compagnia automobilisti di stanza presso il Comando della I° Armata in Trentino, partecipò controvoglia, in ragione delle sue idee, al corso accelerato per allievi ufficiali che si tenne a Padova, dal quale uscì col grado di aspirante. Nell’estate del 1917 , poco più che ventenne,  il sottotenente dei mitraglieri “Fiat” Alessandro Pertini raggiunse il 227° reggimento di fanteria sul fronte isontino. Il capo di Stato maggiore italiano, il pallanzese Luigi Cadorna, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe sull’Isonzo: 600 battaglioni (52 divisioni) con 5.200 pezzi d’artiglieria. L’attacco venne sferrato su un fronte che si estendeva da Tolmino (nella valle superiore dell’Isonzo) fino alle coste dell’Adriatico. Ma fu sull’altipiano della Bainsizza che il combattimento divenne aspro e sanguinoso fino alla conquista di quel territorio e del Monte Santo. Un’esperienza indimenticabile che il futuro Presidente della Repubblica ricordava così: “…ho vissuto la vita orrenda della trincea fra il fango, fra i pidocchi. Sparavamo agli austriaci, che erano giovani soldati, giovani ufficiali come noi”. Temendo sommosse o diserzioni, i comandi italiani tenevano sotto controllo, reprimendoli con durezza e ferocia, gli aneliti socialisti. Anche Pertini, simpatizzante del partito fondato da Turati e frequentatore dei circoli operai genovesi, era stato segnalato e per questa ragione spiato. Durante i durissimi scontri di quel terribile agosto sulla dorsale dei monti Descla- Jelenik , il sottotenente Pertini si distinse per una serie di atti di eroismo e venne proposto per la medaglia d’argento al valore militare per aver guidato, in quella battaglia, un assalto sullo Jelenik, espugnando con pochi uomini delle postazioni austro-ungariche difese da mitragliatrici. Il suo comandante di Reggimento lo propose per una medaglia d’argento al valor militare, con questa motivazione: “Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo, avanzava primo fra tutti verso le munitissime difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l’altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo ed audacia. Descla- M. Cavallo- Jelenik, 21, 22, 23 agosto 1917”. Ma la medaglia non giunse al destinatario. Forse perché l’incartamento si perse durante la rovinosa ritirata di Caporetto o forse, come scrisse lo stesso Pertini, non venne gli assegnata per motivi politici (“Sono stato proposto per la medaglia d’argento. Non me la diedero perché mi ero opposto all’intervento”). E’ certo che, rispettando gli ordini e per dovere, il tenente Pertini combatté in prima linea, sul medio Isonzo e poi sul fronte del Pasubio, per tutto il resto della guerra. Ne scrisse, in seguito: “Ricordo quei massacri. Per prendere una collina, mandavano all’assalto i battaglioni inquadrati, ufficiali in testa con la sciabola sguainata. La sciabola brillava alla luce del sole e quegli ufficiali diventavano sagome per un tragico tiro al bersaglio. Ma in luogo di adottare una più intelligente tattica di assalto, fu deciso di brunire le sciabole”. Alla fine della Grande guerra, congedato col grado di capitano, Pertini riprese gli studi laureandosi in Giurisprudenza, e nel 1919 si tesserò al Partito Socialista. Da quanto è emerso in seguito  si sa che, qualche anno più tardi,  nella seconda metà degli anni ’20, il distretto militare di Savona riuscì a ricostruire l’intera  vicenda, ma essendo l’ex-eroe del monte Jelenik perseguitato dal regime per la sua attività antifascista la notizia venne volutamente occultata e omessa. Fino a quando, molti decenni dopo, dai polverosi archivi del distretto ricomparve l’incartamento “dimenticato”. Pertini, all’epoca era stato eletto settimo Presidente della Repubblica Italiana e, per sua stessa richiesta, la medaglia gli venne consegnata solo nel 1985 , allo scadere del suo mandato.