Per gli antichi egiziani l’Aldilà era abitato da tre categorie di esseri:

  • gli dei
  • i morti
  • i dormienti.

Il sonno, quindi, era inteso come ritorno momentaneo al Caos increato, al Nun primordiale, nel quale vigeva un collegamento con l’Aldilà: in questo senso il sogno, che avviene nel sonno, era visto come canale attraverso cui può avvenire il contatto. I sonno era visto quale una morte momentanea. Gli egiziani instauravano un rapporto tra sonno = morte = caos. In sogno era possibile essere visitati dai defunti, spesso e volentieri però il sogno si tramutava in un incubo, nel caso di defunti assetati di vendetta. Le Lettere ai Morti ci raccontano di episodi di incontri con defunti in sogno, oppure servivano ad evocarne l’aiuto. Invece i testi medico-magici su papiri e ostraca riportavano prescrizioni rituali per allontanare gli spiriti malefici e guarire dalla malattia da loro causata. La predizione del futuro in sogno è attestata a partire dal Nuovo Regno (1550-1069 a.C.) e continua fino all’epoca romana. Il Libro dei Sogni ramesside da Deir el-Medina (pChester Beatty III, recto 1-11) è un prodotto sacerdotale per l’interpretazione di sogni oscuri per il sognatore, specie quelli di predizione. Pensiamo pure all’Archivio di Horo di Sebennito, scriba di Isi, vissuto tra il 199 e il 140 a.C. Sono celebri le parole contenute nel Papiro dell’Insegnamento per Merikara (Papyrus Carlsberg Collection, Copenaghen): “Egli ha creato per loro la magia come arma per respingere (i cattivi) eventi; i sogni di notte e di giorno”. Gunn sostiene che l’espressione egiziana wp.t m33.t, “messaggio della verità”, si riferisca anche alle esperienze che avvengono nel sogno. Ma nell’antico Egitto i sovrani utilizzavano la metafora del sogno come mezzo propagandistico di legittimazione del potere e delle imprese. Sono noti agli studiosi tre sogni regali del Nuovo Regno:

  • Amenhotep e la campagna militare contro i siriani;
  • la Stele della Sfinge e Thutmosis IV;
  • Merneptah e la battaglia contro i libici.

Il sogno aveva anche un valore letterario, quale risorsa per introdurre un avvenimento. “Questo viaggio che ha intrapreso il tuo servo non era premeditato, non era nelle mie intenzioni, non l’avevo programmato. Non so cosa mi abbia separato dal luogo in cui ero. È stato come lo svolgimento di un sogno; come un uomo del Delta che vede se stesso ad Elefantina, un uomo delle paludi in Nubia”, leggiamo nel Papiro del Racconto di Sinuhe (Ägyptisches Museum und Papyrussammlung, Berlino). Se vogliamo tessere un altro filo a questo breve accenno al sogno nell’antico Egitto, non possiamo non considerare il sogno come religiosità personale, qualora esso sia il canale per il contatto con una divinità che rivela segreti e accompagna lungo il sentiero dell’iniziazione. Si tratta della incubazione. Noti rituali di incubazione nei templi in epoca ellenistico romana avvenivano nel Serapeo di Menfi. Apparizione della dea Hathor in sogno:

  • stele di Ipuy (Wien inv. nr. 8390)
  • biografia di Djehutiemheb, nella sua tomba nella necropoli dell’Asasif (TT 194).

Che i sogni fossero veicolo anche della rivelazione di qualche divinità è attestato pure in ittita, dove il verbo teshkanna, “mostrarsi in sogno”, veniva usato per il dio che si rivela. In egiziano antico il “sogno” era indicato dal sostantivo rsw.t. invece il sostantivo qd.t veicolava il “sonno”, poi anche “sogno” dalla XIX dinastia. Similmente all’accadico, dove “sogno” è shuttu, dalla medesima radice si shittu, “sonno”. In egiziano antico “essere sveglio” era espresso dal verbo rs. Non esiste in egiziano antico un verbo “sognare”: si dice m33 m rsw.t, “vedere in sogno”, oppure m33 rsw.t, “vedere un sogno”. Gli egittologi sostengono questo. Dato che rsw.t, “sogno”, contiene il determinativo dell’occhio e deriva dal verbo rs, “essere sveglio”, il sogno era inteso quale uno stato di coscienza particolare, nel quale l’anima era in grado di vedere come di giorno o quasi. In seguito, nei testi di Qumran, e in genere nella letteratura giudaica del periodo del secondo tempio, “sogno” e “sognare” vengono solitamente espressi nel lessico della visione. Pensiamo ad un testo di Qumran (1QapGen 21, 8) che contiene l’espressione aramaica “nel sogno notturno” (bchw’ dj ljlj’), mentre l’originale del libro biblico di Daniele (7, 2) ha “nella visione notturna” (in aramaico bechezewj him-ljleja’, letteralmente “nella visione con la notte”): da ciò appare che “sogno/visione” sono intercambiabili nella terminologia. Dopo molto tempo, anche nella Bibbia il sogno esprime un contatto con il mondo superiore, è spesso veicolo della volontà del Signore. Il primo testo della letteratura della Bibbia è un inno arcaico, il cantico di Debora (Giudici 5), composto approssimativamente attorno al X secolo a.C., invece l’ultima opera della Bibbia, l’Apocalisse, pare redatta alla fine del I secolo d.C. quindi l’intera Bibbia è stata composta in un arco di tempo di appena più di un millennio. La Bibbia in realtà è una “biblioteca”, il sostantivo “Bibbia” deriva dal greco ta biblia, i “i libri”, infatti contiene 73 brevi scritti: 46 quelli dell’Antico Testamento e 27 quelli del Nuovo Testamento. L’Antico testamento è redatto in ebraico, aramaico e greco, invece il Nuovo ci è giunto interamente in greco. Pensiamo ai sogni di Giuseppe relativi alla nascita e alla protezione di Cristo, l’Uomo-Dio incarnato tra di noi per la nostra salvezza. Ma, prima ancora dell’antico Egitto, guardiamo alla Mesopotamia, dove vi era proprio un “dio dei sogni” (ma-mu zaqiqu): ciò ci faccia balenare alla mente l’importanza del sogno nell’antichità. Nella Bibbia ebraica il sogno è indicato dal termine chalom, dalla radice più volte attestata nelle lingue semitiche. Tale radice pare che indichi “essere forte”, come a dire che chi incontra la divinità nel sogno riceve indicazioni che gli sono utili e quindi diventa migliore. Termini ebraici analoghi sono: machazè (visione), mar’a (apparizione), chazon o cheizon layla (visione notturna). Per quanto riguarda la incubazione, non si tratta soltanto di un fenomeno attestato dall’antichità egiziana, ma anche in quella classica e pure nella Bibbia (Samuele che dorme nel Tabernacolo a Shilò e avverte la presenza di Dio, 1Samuele 3, 3). Questi sogni che avevano per oggetto Samuele erano buoni e chiari, ma anche nella Bibbia il sogno può contenere un messaggio cifrato, da interpretare. Pure questi fenomeni enigmatici sono presenti in una antichità più remota, infatti i verbi bur (sumerico) e pasharu (accadico) erano adoperati per indicare l’ermeneutica del sogno. È significativo che questi due verbi vogliono dire anche “dissolvere”: l’interprete, che svolgeva il messaggio recondito del sogno per farlo apparire chiaramente, ne annullava gli effetti maledetti. In ugaritico il “sogno” era detto chlm; alcuni sogni compaiono in vari testi, tra cui il trattato di Sefire: “Allora il tuo regno (kmlkt) diventerà come un regno fatto di sabbia (chl), un regno (mlkt) fatto di sogno (chlm), che Assur domina”, e qui gli studiosi ipotizzano una dittografia. Il Salmo 125 così recita:

1 Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,

ci sembrava di sognare.

2 Allora la nostra bocca si aprì al sorriso,

la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.

Allora si diceva tra i popoli:

«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».

3 Grandi cose ha fatto il Signore per noi,

ci ha colmati di gioia.

4 Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,

come i torrenti del Negheb.

5 Chi semina nelle lacrime

mieterà con giubilo.

6 Nell’andare, se ne va e piange,

portando la semente da gettare,

ma nel tornare, viene con giubilo,

portando i suoi covoni.

La prima unità del Salmo è rappresentata dai versi 1-2-3, sequenza all’insegna della gioia. C’è anche una bella inclusione. L’inclusione è una risorsa letteraria tipica della poesia semitica per la quale due frasi dal significato affine sono collocate rispettivamente all’inizio e alla fine di una sequenza. Ebbene, in questa prima unità abbiamo al verso 1 “siamo stati sognanti” (nell’originale ebraico hajinu cholmim) e al verso 3 “siamo stati gioiosi” (hajinu somechim).  Pertanto si può arguire che la menzione del sogno abbia il valore della gioia (i due sintagmi hanno un significato sinonimico): il sogno ha a che vedere con una esperienza positiva, la gioia del ritorno alla propria patria. Abbiamo a che fare con un sogno beato oppure, pure possibile, con la fine di un incubo. Come abbiamo già accennato, nella letteratura giudaica il sogno ha a che vedere con la visione, quindi alcuni esegeti intendono il riferimento al sogno presente nel Salmo 125 come una “visione profetica” che si attualizza. I profeti hanno cantato in precedenza il ritorno degli ebrei alla loro patria, ed ora ciò avviene puntualmente. Menzioniamo però un’ultima interpretazione. Il verbo ebraico del “sognare” (chlm) ha nella Bibbia una accezione secondaria, quella di “guarire”. Pensiamo solamente a Isaia 38, 16: “Guariscimi e rendimi la vita” (che nell’originale ebraico suona wetachalimeni wehachayeni). La versione greca della Septuaginta del passo di Isaia intende la guarigione in maniera suggestiva, quale l’azione del Signore di ridestare il soffio vitale (exēgheiras mou tēn pnoēn). Ebbene, nel Salmo 125 allora non si parlerebbe di sogno (“siamo stati sognanti”) bensì di guarigione (“siamo stati guariti”), cioè gli ebrei sarebbero stati liberati dalla grandissima pena dell’esilio.