Giunto alla soglia del decimo lustro che è il nuovo mezzo del cammin di nostra vita, quantomeno della vita adulta, mi guardo intorno e noto che molti, della mia generazione, compiono scelte più o meno radicali.
Facciamo un passo indietro, i nostri genitori, boomers nati nel dopoguerra, hanno avuto una vita relativamente semplice ed ordinata. Per lo più famiglie monoreddito (o con un secondo reddito part time: per la middle class la mamma insegnante era la più classica delle situazioni), spesso lavoratori monoazienda (a quanti pensionandi veniva regalato l’orologio alla Fiat dopo trent’anni di fedeltà assoluta!), per lo più pensionati o prepensionati con vari scivoli sulla soglia dei cinquant’anni o poco più. Chi restava faceva facilmente carriera perché la vecchia guardia aveva da tempo lasciato spazio.
Oggi una situazione del genere è improponibile. L’età per la pensione di vecchiaia è 67 anni, ma in molti credono che si alzerà ulteriormente, man mano che andiamo avanti. La famiglia monoreddito è un lontano ricordo. In questo nuovo contesto, molti maturano la consapevolezza che la vita è una sola e che non meriti di essere spesa per mantenere milioni di nullafacenti che vivono di assistenzialismo. C’è chi ha i genitori malati, chi non riesce a stare dietro a figli irrequieti. Quindi optano per scelte di rottura rispetto all’impostazione della famiglia tradizionale. Non scelte di carriera, al contrario scelte al ribasso.
C’è il diplomatico che, invece di diventare ambasciatore, si mette in aspettativa con l’idea di fare impresa, ma con il sogno di diventare pittore; nel timore di sfasciare una seconda famiglia, dopo che la prima e la ex-moglie vivono in stati diversi. C’è l’avvocato che, complici i lockdown del covid, chiude lo studio, vince il concorso da cancelliere e mi dice: «Prima facevo carcerario, adesso dormo sereno tutta la notte». C’è il dipendente full-time che si dimette per fare l’insegnate di scuola media. Quella che ha trasformato una piccola eredità in due bilocali e lascia l’impiego pensando di mantenere la famiglia con l’affitto breve. Quello che inizia un percorso universitario fatto di assegni di ricerca e dottorato, ritrovandosi in mezzo a neolaureati che spesso interrompono le borse per fuggire all’estero. Quelli che si mettono in proprio e fanno i consulenti e corrono dietro ai pochi clienti per farsi pagare. Tenendo presente che tutti i casi citati sono di genitori, ben consapevoli di dover mantenere i figli per ancora almeno un decennio, se non due.
Presi singolarmente possono far pensare a qualche scelta personale, magari moralmente sanzionabile secondo i canoni della generazione precedente, certo riconducibile a qualche singolo esempio anche nei decenni passati. Tuttavia la numerosità dei casi, nella similitudine anagrafica e sociale, lasciano intravedere qualcosa di più complesso: siamo di fronte ad un nuovo fenomeno sociale.
Un ripiegamento verso una vita più tranquilla, da parte di chi, deposte velleità di carriera e successo, non potendo raggiungere l’agognato traguardo della pensione, si accontenta di un reddito inferiore in cambio di più tempo libero. Sottolineo che il fenomeno è ambosessi e non contestuale alla nascita dei figli: non è la genitorialità a far stare a casa neomamme o neopapà, sono scelte fatte dopo parecchi anni. Che sia la famosa decrescita felice?
A me sembra piuttosto il fallimento di una società (più che non dei singoli individui) che stritola una generazione perché ha elargito troppo generosamente alle precedenti.