Sento spesso dire che la Russia non è mai stata sconfitta (l’ultimo di questa lunga serie è Vittorio Feltri in un recente editoriale) e che quindi sarebbe opportuno evitare di contrariala, per esempio con una guerra. Sicuramente Sun Tzu nell’Arte della guerra consigliava di allearsi con chi non si può combattere.

Purtroppo però, devo aver studiato su libri diversi da quelli di Feltri e non mi ritrovo in questo mito di invincibilità. Mi risulta invece che la Russia, pur non essendo mai stata conquistata, abbia avuto molti periodi di debolezza e sia stata sconfitta molte volte, almeno due in modo talmente pesante da rovesciarne il sistema politico.

Nel 1863 era talmente debole che per rioccupare e controllare la riottosa Polonia ebbe bisogno dell’aiuto di Bismark.

Nel 1905, rea di voler unificare il proprio territorio con la ferrovia transiberiana, fu attaccata e sconfitta da un Giappone nascente; cosa che mandò nel panico il mondo occidentale: inaudito che un popolo considerato razzialmente inferiore potesse tenere testa un uno bianco, per quanto arretrato potesse essere. Inoltre si trovò ad un passo dalla rivoluzione.

Durante la Prima Guerra Mondiale fu travolta dall’Impero Germanico; il susseguirsi di sconfitte militari determinò quello scollamento tra classe aristocratica e popolo che portò alla Rivoluzione d’Ottobre ed alla resa. I Trattati di Brest Litovsk (1917), firmati da Lenin assegnavano meritatamente (da un punto di vista militare) enormi territori alla Germania. Successivamente i Trattati di Versailles stracciarono tutto e punirono la Germania, facendo passare la Russia tra i vincitori e creando uno scollamento tra l’esito militare e l’esito diplomatico del conflitto. Questa scelta, criticata sin dall’inizio da John Maynard Keynes, fu alla base dell’enorme consenso revanscista che portò Hitler al potere.

Nel 1989, dopo un decennio di logoramento, sapientemente orchestrato dagli Usa, l’Urss subì una disfatta in Afghanistan. Anche in questo caso, la sconfitta portò al collasso del sistema politico, alla caduta del muro di Berlino e ad un periodo di debolezza e di perdita territoriale, con la nascita di stati indipendenti.

Che la Russia non sia mai stata sconfitta è semplicemente falso. Come ho già fatto notare (si veda Geopolitica della guerra in Ucraina) alterna fasi di debolezza a fasi di forza in cui tenta inevitabilmente di espandersi in qualche direzione. Oggi a spese dell’Ucraina. Domani chissà.

Che fare in questa situazione? Guardare o contrastare?

Guardare sperando che l’espansione finisca per raggiunti obiettivi? É quello che pensavano alla Conferenza di Monaco nel 1938: se diamo ad Hitler i Sudeti, di lingua tedesca, avremo la pace in Europa! Non ha titolo per reclamare anche Praga, perché non è di lingua tedesca. Infatti non la chiese: se la prese.

Due secoli di politica del containment ci insegnano che l’unico modo per tutelarsi dall’espansionismo russo è contrastarlo con una forza più forte. Forza convenzionale perché la deterrenza nucleare è una chimera! Si basa sul principio che nessuno dei due contendenti lancerà per primo un attacco su vasta scala per non essere a sua volta distrutto. Già, ma se la Russia invadesse l’Estonia via terra, la Nato si assumerebbe la responsabilità di lanciare per prima le testate nucleari per rappresaglia? Quindi si crea la necessità di rispondere, o di minacciare una risposta, con armi convenzionali.

Si vis pacem para bellum. Contrariamente a chi sostiene che le armi possano portare solo alla guerra (Napoleone diceva che con le baionette si possono fare molte cose, ma non sedercisi sopra), non averle e non schierarle porta solo alla pace: pace dopo l’invasione! I cecoslovacchi erano contenti dopo 1939 di aver evitato la guerra e di essere governati da Reinhard Heydrich? A giudicare dalla bomba che gli hanno lanciato in macchina, uccidendolo, direi di no. Se oggi l’Ucraina cede parte del territorio in cambio della pace, potrà dormire sonni tranquilli? O sarà di nuovo attaccata dopo qualche tempo? Non ha forse già ceduto la Crimea nel 2014, pur di salvaguardare la pace? Quale forza garantirà il rispetto dell’accordo da ulteriori successive rivendicazioni? Nel 1934 Hitler tentò una prima volta l’annessione dell’Austria, assassinandone il cancelliere Dollfuss e si fermò solo perché fu contrastato, sì, da Mussolini che inviò quattro divisioni italiane al Brennero, pronte a difendere l’ex nemico del Grappa e del Piave. Nel 1938 l’Anshluss poté essere attuato perché Mussolini stette a guardare: si era avvicinato alla Germania perché gli inglesi non gli avevano dato il via libera in Etiopia.

Per queste ragioni è indispensabile un riarmo europeo che, in parte, sta già avvenendo, nel momento in cui i paesi del nord reintroducono la coscrizione. Per tacere del boom nelle quotazioni delle aziende del settore difesa, Leonardo per restare in Italia. È auspicabile che difesa e riarmo siano coordinati a livello europeo e siano la base di una più salda e coesa unione.

Ci servono missili, ci servono aerei, ci servono droni, ci servono carrarmati e munizioni di tutti i calibri. Potrebbe essere l’occasione per rilanciare il polo industriale di Torino, sempre più orfano di una ex-Fiat sempre più disinteressata (è di qualche giorno fa, l’ulteriore sforbiciata del 10% del personale: soltanto l’ultimo sorso di una fiala di veleno che ci faranno bere fino in fondo). Il già distretto dell’automotive ha tutti numeri per diventare il nuovo distretto europeo del carrarmato. Visto come si è comportata la famiglia Agnelli-Elkann negli ultimi tempi, oltre alle liete vicende giudiziarie, non sarebbe una cattiva idea pensare all’espropriazione per pubblica utilità dell’intero sito di Mirafiori, come punto di partenza per la costruzione di un hub europeo dell’industria militare, di proprietà pubblica internazionale. Ci sono competenze, ci sono maestranze, ci sono mezzi per un piano industriale come questo: da qui può passare il rilancio di Torino, altro che monopattini e piste ciclabili…