Il 14 marzo 1820 nacque
a Torino Vittorio Emanuele II; nella sua città natale
molti si stanno
attivando per celebrare il
Bicentenario, anche se incredibilmente il
Ministero dei Beni Culturali
non ha creato un apposito comitato
nazionale, come si fece nel 2011 per Cavour. Un ministro grillino non poteva
certo pensare al primo
Re d’Italia.
Tra i quattro Re d’Italia, Vittorio Emanuele fu sicuramente
il più significativo sotto il profilo
storico. Coprotagonista del Risorgimento con Cavour, Garibaldi e Mazzini, seppe essere all’altezza del compito immane che la Dinastia sabauda si era assegnata, quello di realizzare l’unità di un paese da secoli diviso, quello che Croce definì il “Sorgimento“, il fatto più importante della storia italiana.
Non a caso i patrioti scrivevano viva
V.E.R.D.I., vedendo nel Re e nella monarchia sabauda il fulcro su cui far leva
per realizzare il
Risorgimento. Anche Garibaldi capì questa
opportunità e mise la sua spada al suo servizio. Denis Mack Smith nel
1972 ne scrisse un’ampia biografia che non rende giustizia al Re. Non a caso,
la esaltò Franco Antonicelli che la presentò in: “dialogo con l’autore”, all’Unione
Culturale .Andai a sentirli, rimasi allibito dalla loro faziosità ideologica.
Rosario Romeo, il massimo storico del Risorgimento e di Cavour, mi disse che quella
biografia era “miserabile”. Mach Smith era troppo angusto per poter
capire Vittorio Emanuele II che non era banalmente riconducibile al
fatto – sicuramente vero – che gli piacessero molto le donne, tanto per citare
un aspetto insistito di quella biografia. Non capì neppure Cavour. Al massimo
esaltò acriticamente Garibaldi.
Nel 2011 a
Palazzo Reale di Torino, con grande dovizia di mezzi, venne allestita una
mostra su Vittorio Emanuele II in chiave meramente celebrativa, che certo non
contribuì alla sua conoscenza storica. Ho ripreso in mano l’imponente catalogo
introdotto dal giornalista Giovanni Minoli
e non da uno storico, un’introduzione di una banalità piuttosto
sconcertante, scritta in modo un po’ strascicato da un giornalista
televisivo, forse poco avvezzo a scrivere articoli e meno che mai, dei
saggi storici. Più che un catalogo si tratta di una rigovernatura di
scritti poco coerenti e poco scientifici. Un grande impegno finanziario
per realizzare un evento molto effimero e di scarso valore storiografico.
Gli storici risorgimentalisti sono pochi, i dilettanti e gli improvvisatori
sono invece tantissimi. Era vero nel 2011, ma ancora di più oggi. La
cattedra di Storia del Risorgimento è stata soppressa a Torino e in altre
Università italiane. L’istituto Nazionale per la Storia del Risorgimento è
stato commissariato con l’intento di scioglierlo. Ho letto sui giornali dei
nomi di “celebratori “ torinesi del bicentenario del Re che mi fanno
rabbrividire. Persone neppure laureate, comunque senza studi in campo
risorgimentale, che si apprestano a pontificare su questo Re che va storicizzato
più che celebrato. Non vorrei che fossero protagonisti delle
“celebrazioni” del bicentenario anche gli eredi ideali del Conte De
Vecchi di Val
Cismon, squadrista e quadrumviro della Marcia su Roma, dilettante di Storia del
Risorgimento, padre di una versione aberrante della storia di quel periodo, di
cui il Fascismo sarebbe stato il pieno coronamento. Una tesi di Giovanni
Gentile, di cui lo squadrista torinese realizzò la peggiore vulgata.
De Vecchi mise anche le mani sul Museo Nazionale del Risorgimento,
stravolgendolo in chiave propagandistica del regime fascista, di cui fu un fanatico
e ripetitivo sostenitore.
Anche i monarchici fans del Duca d ‘Aosta stanno organizzando qualcosa a
Torino. Leggendo i nomi proposti, se si esclude il giurista insigne Salvatore
Sfrecola, non c’è da stare molto sereni. C’è un politicante salta fossi
diventato da poco deputato leghista e il critico d’arte Sgarbi che
non è certamente uno storico del Risorgimento. Appare strana invece l’assenza
a Torino del Presidente della sedicente Consulta dei Senatori del Regno,
che forse ricorderà il Re direttamente al Pantheon, come appare più
consono al ruolo istituzionale che in modo un po’ troppo referenziale
crede di avere e di poter esercitare. Appare anche strano che l’Accademia
Albertina diventi sede privilegiata dell’apertura delle celebrazioni del
bicentenario. E’ certo meglio questa Accademia Albertina di quella che fu
protagonista della contestazione studentesca, ma sicuramente, ad onor del
vero, il Re c’entra poco con un’Accademia di belle arti, sia pure
fondata e intitolata al padre del Re, Carlo
Alberto. Forse qualche sindacato dei docenti avrà qualcosa da ridire su questo
pronunciamento coraggioso e imprevedibile.
Credo che davanti al monumento a Vittorio Emanuele a Torino ci sarà tra i
monarchici una corsa a premi a chi deporrà per primo una corona d’alloro,
che appare un modo semplicistico per celebrare, senza storicizzare. Ci
sarà anche una Messa a Santa Cristina, malgrado il Re sia stato
il sovrano delle Leggi
Siccardi e della Breccia di Porta Pia.
Manca finora un bell’incontro storico con studiosi veri. So
che il Museo Nazionale del Risorgimento, presieduto dal grande
risorgimentalista Umberto Levra, promuoverà un evento importante in autunno.
Sembrano invece latitare in modo clamoroso le Istituzioni comunali e regionali
che finora non si sono sentite.
E non si sa se il capo dello Stato Mattarella verrà a Torino per onorare il
primo capo dello Stato dell’Italia Unita.
Nel 2011 Giorgio Napolitano rese omaggio al
Pantheon alla tomba del Re.
Un esempio importante che segnò un’epoca. Nel 1961, centenario del Regno e
dell’ Unità, un gesto simile da parte del presidente Gronchi sarebbe stato
impensabile.
C’è da augurarsi che Torino
e l’Italia sappiano ricordare questo Re senza le solite distinzioni di parte
all‘italiana che appaiono davvero inadeguate e senza “gli studiati silenzi e i
meditati oblii” di cui parlava nel 1961 Vittorio Prunas Tola. Su Facebook ho
letto che un ignorantello si è domandato perché si dovesse ricordare “il nonno
di Sciaboletta “( Vittorio Emanuele III); se la situazione è questa, bisogna
assolutamente ricordare in termini storici il primo Re d’Italia .
Pier Franco Quaglieni