Faccio seguito alla visione generale data in Geopolitica della guerra in Ucraina. Pur apprezzando e condividendo gli appelli alla pace ed al dialogo, devo realisticamente considerare che difficilmente sortiranno effetti prima che si sia definita la situazione sul campo. Durante la Prima Guerra Mondiale Benedetto XV denunciò l’inutile strage, ma la guerra finì solo col il collasso sociale e militare dell’Impero Austroungarico. La guerra c’è. E non siamo stati noi ad iniziarla. Dobbiamo quindi valutare come si può concludere. Degli infiniti possibili esiti ne elenco alcuni, più o meno probabili:

  1. La Russia ottiene una vittoria netta, occupando l’intero territorio ucraino;
  2. Il conflitto si protrae in una situazione di stallo, con territorio parzialmente occupato;
  3. L’esercito ucraino respinge i russi alla frontiera liberando il territorio;
  4. Si ha un collasso del sistema politico russo, con ritiro e cessazione delle ostilità da parte di nuovi soggetti; come accaduto nel 1917 e nel 1989.

Ad oggi il primo scenario sembrerebbe sfumato, per lo meno in tempi rapidi. Il secondo, ossia che una guerra finisca senza un vincitore netto, ma con una impasse che prelude ad un accordo di spartizione, è raro ma già accaduto per esempio in Corea nel 1953 Gli altri sono tanto più improbabili quanto più auspicabili. Il punto è, in base alla realpolitik (che un tempo si chiamava ragion di stato e, di fatto, è cinico egoismo puro), a noi italiani-europei cosa conviene? Comunque vadano le cose, in futuro ci sarà una Russia con cui convivere (nessuno l’ha mai conquistata in toto) e con cui fare accordi commerciali (è una legge di mercato: per quanto si differenzino le fonti, se loro hanno un’offerta di gas e materie prime e noi una domanda, queste finiranno per incontrarsi). Sarà più facile con una Russia vittoriosa, militarmente forte, desiderosa di espandersi ancora magari verso il Baltico, o lo sarà di più con una Russia battuta e ridotta a più miti consigli? Bismarck poté conseguire l’unificazione tedesca, nonostante l’ostilità inglese, perché la Russia era in una fase di debolezza. Ne segue che l’interesse europeo è che la Russia esca dal conflitto con le ossa rotte. Per questo è opportuno fornire, quanto più possibile, aiuti militari ed armi all’Ucraina. Come, evidentemente, Draghi ha capito molto bene. Ricordo che, nell’inverno 1939-40, l’Italia era alleata della Germania (Patto d’Acciaio) la quale aveva un accordo di non aggressione con l’Urss (Patto Ribbentrop-Molotov) che attaccò la Finlandia. A discapito della catena di alleanze, l’Italia forniva armi alla Finlandia. Naturalmente senza che una escalation porti ad un conflitto nucleare globale. Cosa alquanto improbabile, almeno stando ad uno dei termometri che misurano il sentiment mondiale. SEP 500, l’indice Standard&Poor dei 500 titoli più capitalizzati di Wall Street: ha toccato il massimo a 4.796 punti il 3 gennaio, ad inizio conflitto è sceso a 4.225, poi a 4.170 l’8 marzo, oggi 29 marzo, quota 4.632 punti. Al momento non sta prezzando l’Apocalisse. Se, ad un indebolimento russo, si creasse in parallelo un rafforzamento politico e militare (riarmo ed esercito unico) dell’Unione Europea, vi sarebbero i presupposti per un parziale affrancamento dall’ombrello statunitense. Un’Europa unita ed in grado di difendersi da eventuali ulteriori minacce, recupererebbe una parte dello spazio, nel novero delle grandi potenze, che la spartizione di Yalta le aveva tolto. Roosevelt, Churchill e Stalin nel 1945 si divisero l’Europa privandola di fatto della sua sovranità. Se oggi i russi fossero frustrati, con gli inglesi auto solatisi, si aprirebbero per L’Unione Europea spazi di autoaffermazione, per potersi porre con gli Stati Uniti in una posizione di maggiore forza, se non di parità. Questo è l’auspicio. Le cancellerie europee dovrebbero ormai aver capito che da soli non si va da nessuna parte.