Il Museo del Novecento presenta una mostra dal titolo “Leonardo Meoni. Gli altri colori purtroppo, sono tutti caduti”.
Si tratta di un’esposizione ospitata al Museo Stefano Bardini di Firenze, curata da Sergio Risaliti, in programma dal 17 giugno al 10 ottobre 2024.
Il progetto, organizzato in collaborazione con Amanita dal Museo del Novecento, ospita una selezione di opere ideate specificatamente per le sale espositive del Museo Bardini, in stretto dialogo con la collezione dell’antiquario e connoisseur fiorentino.
Il titolo dell’esposizione “Gli altri colori purtroppo sono tutti caduti” rievoca la tela pittorica dell’affresco, la cui cattiva conservazione provoca la caduta di porzioni di pittura e la comparsa dei disegni preparatori retrostante.
Lacune e sinopie rappresentano per Meoni una riflessione sullo spazio ulteriore, velato, che tuttavia illumina l’intera composizione.
La percezione della luce è fortemente legata alla pratica artistica di Meoni e all’utilizzo del velluto, un materiale che assorbe la luce e rende la lettura dell’opera cangiante e ambigua, a seconda del punto di osservazione. Troppa luce e troppa evidenza riducono le capacità cognitive dello sguardo e, di pari passo, inaridiscono lo spettro delle emozioni, riducendo a una superficiale reazione di fronte alla piatta trasparenza del significante.
L’oscurità intima del velluto implica quindi un’accezione non negativa, bensì positiva. La mancanza della luce, infatti, comporta un necessario sforzo di adattamento dell’occhio e il concentrarsi sugli elementi essenziali presenti nell’opera. Obbligando lo sguardo a dedicare tempo alla osservazione e alla contemplazione, è possibile cogliere pienamente il contenuto dell’opera. La valenza dark si lega alla narrazione antipop dell’artista, che rifiuta una lettura e un’interpretazione immediata dell’immagine, preferendo ricercare gli elementi intimi e nascosti della raffigurazione.
Leonardo Meoni, nato a Firenze nel 1994, vive e lavora a Firenze e a New York.
Fino a che punto un materiale soffice può essere oggetto di un messaggio violento? E possono le trame del velluto ospitare il trauma, il travaglio o il fallimento di un’opera? Queste sono le domande che pongono le opere di Leonardo Meoni, dietro uno sguardo tattile che avvolge l’osservatore con la matericità del tessuto.
Nel suo studio di Prato, Meoni passa le sue giornate a fare e disfare, cancellando continuamente i disegni fatti sulla tela, che da alcuni anni ha scelto quale suo materiale privilegiato, il velluto, un tessuto pregiato rispetto alle normali tele che lui definisce “viziato”.
Leonardo tende, liscia, raschia e modula il velluto fino a creare un rebus di tracce e figure, una combinazione tra immagini e segni al limite tra riconoscibilità ed evocazione. Una sua opera intitolata “A Snare” intreccia forme appuntite, spuntoni e speroni, che compongono una raffigurazione tutt’altro che mite, anzi a tratti violenta; lampadari, asperità, catene provengono da un paesaggio mentale americano, sede della sua galleria. Cancellando e rifacendo, senza mai cadere nella banalità, l’artista da nuovamente vita a un processo creativo di stratificazione che nasce dalla pittura e che, benché non ne rimanga traccia, si coglie nella complessità della composizione, giocando sui livelli del segno e del tratto.
Meoni viene da un passato di pittura e tende a definire le sue opere in tessuto tele. Il tessuto è inizialmente soltanto la parte, la superficie di un disegno dove nulla si toglie e nulla si aggiunge, dove la rappresentazione nasce semplicemente da uno spostamento , diventando così effimera e temporanea. Se in un primo momento lo spostamento è l’unica azione intrapresa sulla tela, con pennelli e oggetti diversi, in un secondo momento le tele diventano bicromi e, in occasione di una fiera a Torino, Meoni ha incominciato a intervenire sulla candeggina, creando delle striature scolorite che mutano il tessuto senza consumarlo.
La natura del suo rapporto con la superficie nasce da una condizione di inadeguatezza e di continui fallimenti nel processo di creazione e procede per tentativi, per cancellazioni, per errori dovuti ai limiti che l’artista si trova a riconoscere e ammettere.
Meoni non si è mai trovato a suo agio con la pittura a olio, troppo indiretta e mediata, e ha così trovato una superficie più reattiva agli stimoli e alle sue necessità.
Dietro all’uso di un materiale che va incontro a un apprezzamento estetico di tipo classico, si cela un continuo scontro con la forma della rappresentazione e dell’artista con se stesso, un contrasto che è fulcro della matrice creativa e della spinta a seguire nuove strade.
Le cancellazioni, i continui rifacimenti al limite dell’esorcismo nei confronti della rappresentazione, costituiscono il processo artistico da cui emergono le articolazioni dei tratteggi delle tele di Meoni.
Museo Stefano Bardini, Firenze Mostra di Leonardo Meoni. “Gli altri colori, purtroppo sono tutti caduti” dal 17 giugno al 10 ottobre 2024