Il Movimento Cinque Stelle ha letteralmente “terremotato” la vita politica italiana perché ha raccolto troppi suffragi nelle ultime elezioni politiche del marzo 2018. Ad esempio, per il rinnovo della Camera dei deputati, ottenne allora, come voti di lista, 10 milioni 732 mila voti (pari al 32,68 % del totale dei voti validi espressi) e 133 seggi. Ai quali si sommarono i deputati eletti nei collegi uninominali. Qui riuscì a conquistare 76 collegi uninominali degli 80 complessivamente istituiti nelle otto Regioni dell’Italia centro-meridionale e insulare: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Oggi il Movimento Cinque Stelle potrebbe continuare a “terremotare” la vita politica italiana qualora, passando da espulsione a espulsione, da scissione a scissione, da frattura a frattura, deflagrasse completamente, disperdendo la propria forza rappresentativa in mille rivoli. Si aprirebbe, in questo caso, un grande “vuoto”, con effetti davvero imprevedibili per tutte le prossime consultazioni elettorali. Sia per quanto riguarda il rinnovo delle Amministrazioni di grandi e importantissimi Comuni, quali Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna. Sia al momento delle prossime elezioni politiche che, prima o poi, almeno alla scadenza naturale della Legislatura, si dovranno finalmente tenere. È probabile che, questa volta, nelle prossime elezioni politiche, si affermerà nettamente l’alleanza elettorale di centro-destra; la quale poi, per i reali rapporti di forza, potremmo più veracemente definire alleanza di differenti “destre”.

Il problema, appunto, è che se la forza rappresentativa del Movimento Cinque Stelle dovesse drasticamente ridursi, la probabile prossima vittoria delle destre fra loro alleate potrebbe diventare numericamente incontenibile. Cosa che, personalmente, non auspico. È bene, infatti, che un orientamento politico prevalga nettamente e che esprima un governo stabile, dotato di un preciso indirizzo programmatico, per l’intera durata di una Legislatura. Il fatto di “stravincere”, però, è sempre pericoloso. Un certo equilibrio nei rapporti politici è anch’esso un bene da ricercare in sé.

Sono lontanissimo da alcune affermazioni ideologiche che finora hanno caratterizzato il Movimento Cinque Stelle. Ad esempio, non credo nell’egualitarismo livellatore, espresso nella nota formula “uno vale uno”. Per me la grande forza degli esseri umani sta nella loro volontà di migliorarsi: con lo studio, con i sacrifici, con l’impegno tenace, con l’amore per il proprio lavoro, vissuto come personale contributo per rendere più efficiente, meglio funzionante e più giusta la comunità sociale della quale si è parte. Di conseguenza, vanno favorite tutte le soluzioni che consentano il miglior funzionamento possibile del cosiddetto “ascensore” sociale. Nel senso di permettere, ovunque e per tutti i mestieri, la tendenziale affermazione dei più meritevoli, dei più competenti, dei più capaci, dei più preparati, dei più colti. Qualunque sia la posizione iniziale di partenza. Anzi, quanto più singoli individui riescano a salire significativamente di posizione nella scala sociale, tanto meglio è per il sistema sociale nel suo insieme, che dimostra di essere vitale.

Non nutro, viceversa, alcuna simpatia per quanti si crogiolano, soddisfatti, nella propria ignoranza. Nei confronti di quanti attaccano, per principio, le cosiddette élite, compiaciuti del fatto che cento assolute mediocrità valgano, nella logica democratica, più di cinque persone che, oggettivamente, si segnalino per intelligenza brillante, preparazione, cultura generale, eccezionale competenza in uno specifico campo del sapere.

Come altro esempio significativo della mia distanza dal Movimento Cinque stelle, ricordo la questione del vincolo di mandato, da loro agitata. Vorrebbero che i membri del Parlamento non fossero liberi di adottare, di volta in volta, le scelte di voto che ritengono preferibili nell’interesse generale dell’Italia, ma fossero obbligati a votare in conformità alle indicazioni del partito che li ha eletti. Vorrebbero altresì che non fosse consentito ad un membro del Parlamento, nel corso del suo mandato rappresentativo, di cambiare partito. Gli si riconosce il diritto di cambiare opinioni; ma deve pagare il “prezzo” di dimettersi dalla carica rappresentativa.

Dal mio punto di vista, invece, un Parlamento composto da tanti “Yesmen” (e “Yeswomen“), buoni soltanto a votare con disciplina ciò che comanda il loro rispettivo capogruppo parlamentare, perderebbe di significato. Non sarebbe più il cuore effettivo dell’ordinamento liberaldemocratico. Per me bisogna restare saldamente ancorati all’articolo 67 della Costituzione, che così recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Sempre dal mio punto di vista, infine, i responsabili politici del Movimento Cinque Stelle sono dei pericolosi “sfasciacarrozze” per quanto riguarda l’esigenza di tenere in equilibrio i conti pubblici. Per ragioni di “giustizia”, magari con le migliori motivazioni, affermano che certe spese debbano essere attivate. Per forza. Se poi mancano le risorse finanziarie per fare fronte alle nuove spese, per il Movimento Cinque Stelle che problema c’è? Si faccia nuovo debito pubblico!

Tutto ciò premesso e considerato, nel Movimento Cinque Stelle si può trovare anche qualcosa di buono. A differenza di quanto ritengono i dirigenti del Partito Democratico, non ritengo che gli aderenti al Movimento abbiano una decisa connotazione di centrosinistra. Sono un po’ ambientalisti e prendono sul serio la questione dei limiti allo sviluppo. Dei quali parlavano Aurelio Peccei e i membri del Club di Roma già nel 1972. Quella dei limiti allo sviluppo sarebbe una questione serissima, a volerla dibattere nei suoi termini reali, posto che il pianeta Terra è quello che è, ha dimensioni finite, non può crescere.

Il maggior problema storico del nostro ventunesimo secolo è, dal mio punto di vista, la sovrappopolazione mondiale; con tutto ciò che la crescente pressione umana comporta nell’alterare gli equilibri naturali. Solo che non è “politicamente corretto” parlare di sovrappopolazione mondiale. Anzi, tutti i sedicenti democratici progressisti, e papa Francesco con loro, fanno a gara nel dire che non bisogna essere egoisti e che bisogna praticare una politica di accoglienza degli immigrati praticamente illimitata.

Oggi non è più di moda studiare la geografia. Basta però guardare l’immagine del mondo che, ad esempio, è spesso presente nella sigla dei telegiornali, per rendersi conto di alcune cose. L’Africa ha una dimensione di 30 milioni e 370 mila km quadrati. Al cospetto di questo gigante, la nostra Italia è un piccolo nano: poco più di 301 mila km quadrati. L’intera Unione Europea, con i suoi 27 Stati membri, ha una superficie di quattro milioni e 233 mila km quadrati.

E perché mai – mi permetto di chiedere io – l’Europa dovrebbe snaturarsi, perché mai ogni Stato europeo dovrebbe rinunciare a caratterizzarsi secondo le proprie specifiche tradizioni culturali e storiche, per aprirsi all’illimitata immissione di persone provenienti da realtà sociali e culturali profondamente diverse?

In ogni realtà umana c’è un problema di equilibrio e di misura: un po’ di varietà nella composizione della società rende indubbiamente più interessante e dinamica la vita sociale: è un fattore di arricchimento. Troppa varietà, male assortita, peggiora invece la qualità della vita in società.

In tutti gli Stati europei ci sono comunità nazionali storiche che vengono da un lontano passato e desidererebbero avere un futuro. Questi Stati hanno pieno diritto di decidere loro di quanti lavoratori provenienti dall’estero abbiano bisogno le proprie rispettive economie.

Possono anche decidere, in situazione eccezionali, di dare un contributo straordinario alla risoluzione di una crisi umanitaria. Ad esempio, nella seconda metà del 2015, la Cancelliera della Germania, Angela Merkel, svolse un ruolo decisivo nel convincere l’opinione pubblica tedesca ad accogliere un alto numero di profughi siriani. Si resta nella fisiologia dei comportamenti politici finché un libero Governo decide quando accogliere, quantifica il numero delle persone che è in grado di accogliere e, soprattutto, sceglie chi accogliere.

Cadiamo invece nella patologia dei comportamenti politici quando si assuma che tutti coloro i quali, ad esempio, vogliano lasciare l’Africa per iniziare una nuova vita in Europa abbiano “diritto” di farlo, senza riconoscere contemporaneamente alle autorità degli Stati nei quali sono diretti il potere di esprimere un gradimento, di valutare, ad esempio, se ogni singola persona interessata abbia trascorsi politici ritenuti pericolosi, o, più semplicemente, se abbia un titolo di studio o attitudini lavorative tali da poter più facilmente trovare una collocazione lavorativa.

Rispetto a questa problematica, mi sembra che gli aderenti al Movimento Cinque stelle finora abbiano dimostrato un po’ più di buon senso, rispetto, ad esempio, alle posizioni ufficiali del Partito Democratico. Tanto più buon senso rispetto alle formazioni “di sinistra” ed ai cattolici impegnati nel “sociale”.

Per farla breve, penso che dagli sforzi congiunti dell’ex presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e di altri esponenti politici che si sono dimostrati molto meno sprovveduti di quanto si pensasse, come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, qualcosa di buono possa ancora venire, nell’interesse di un migliore assetto del sistema politico italiano. Il Movimento Cinque Stelle, con buona pace del Partito Democratico, continuerà ad essere “trasversale”, tra argomenti classici di destra e argomenti classici di sinistra.

Sono molti i motivi di conflitto interno ai Cinque Stelle; ma una cosa che, particolarmente, turba la tranquillità degli attuali parlamentari è la questione di come disciplinare il limite delle candidature consecutive.

Eppure, non dovrebbe essere impossibile arrivare ad una soluzione ragionevole, che quindi possa accontentare il maggior numero degli attuali parlamentari. Anche se sono un vecchio liberale, centrista e “moderato” – ossia, lo schifo dello schifo, per molti militanti del Movimento – provo ad enunciare nove semplici regolette, che potrebbero risolvere il problema.

1) Gli aderenti al Movimento Cinque Stelle intendono la politica come un’attività nobile, che si svolge, su base volontaria, per concorrere ad elaborare soluzioni ai problemi della convivenza sociale, soluzioni che siano a servizio del bene comune e che siano coerenti con l’esigenza di riconoscere la dignità di tutti gli esseri umani.

2) Di conseguenza, gli aderenti al Movimento, nel determinare le regole della propria organizzazione, intendono favorire la partecipazione, quanto più ampia possibile, delle persone che vogliono prendersi cura del loro Paese e soprattutto vogliono il ricambio frequente delle persone elette a ricoprire responsabilità istituzionali.

3) Le regole interne devono, per questa via, contribuire ad impedire che l’attività politica possa essere intesa come un’attività professionale quale tante altre. Meno che mai, un’attività che sia fonte di privilegi di natura economica, talora in stridente contrasto con le difficoltà economiche che travagliano tanti italiani, o l’occasione per ricevere trattamenti pensionistici di favore.

4) In coerenza con i precedenti enunciati, gli aderenti al Movimento non possono candidarsi ad un ruolo istituzionale di rappresentanza elettiva dopo che abbiano svolto, consecutivamente, due interi mandati allo stesso livello di rappresentanza.

Per mandato “intero” si intende quello che copre l’intero periodo della Legislatura, o della consiliatura, nel caso di Consigli regionali, o comunali. Sono esclusi dal computo i mandati che, per l’interruzione anticipata della Legislatura, o della consiliatura, siano durati meno della metà del tempo istituzionalmente previsto.

5) Nel caso di precedenti mandati svolti a differenti livelli di rappresentanza, ad esempio, ora nelle istituzioni rappresentative di Regioni e di Enti locali, ora alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica, ora al Parlamento dell’Unione Europea, è ammessa la ricandidatura quando i mandati consecutivi non siano stati più di tre.

6) Poiché l’esperienza politica maturata è comunque preziosa e può utilmente essere messa a servizio del bene comune, le medesime persone che non sono immediatamente ricandidabili per un ruolo istituzionale di rappresentanza elettiva, possono invece essere indicate dal Movimento Cinque Stelle affinché eventualmente ricoprano funzioni di governo o di amministrazione, nello Stato, nelle Regioni, nei Comuni.

7) Non ci sono limiti di mandati per le cariche negli organi collegiali interni del Movimento, in tutti i casi in cui queste cariche siano state attribuite dagli iscritti, in libere elezioni. Tali elezioni si svolgono, di regola, mediante procedure telematiche.

8) Soltanto la carica di vertice nazionale del Movimento Cinque Stelle non può essere ricoperta per più di due mandati consecutivi. La medesima regola vale anche per il Tesoriere nazionale, comunque denominato, ossia per colui che, nella dimensione nazionale, sia responsabile della tenuta della contabilità interna del Movimento.

9) Dopo cinque interi anni trascorsi senza ricoprire ruoli di rappresentanza istituzionale su base elettiva, gli aderenti al Movimento possono nuovamente essere riproposti per una candidatura alle elezioni. Se rieletti, inizia un nuovo ciclo di attività politica in ambito istituzionale e si applicano le regole di cui ai punti 4) e 5).

Mi sembra si tratti di regole di buon senso, non demagogiche. Ovviamente, potrebbero essere scritte meglio perché non ci sono limiti alla possibilità di curare la forma di un testo, in modo da renderlo nel contempo, chiaro ed essenziale.

Palermo, 11 giugno 2021