Forse solo più Boldrini può insistere sul Manifesto di Ventotene perché anche l’indignato deputato di Alessandria dalla lacrima facile, che è andato in escandescenze per il manifesto, pare si sia calmato. Ma ho voluto con calma  rinverdire un ricordo , riprendendo in mano la biografia di Ernesto Rossi opera di Giuseppe Fiori, autore della biografia di Gramsci e di Berlinguer ,sempre allineato a certe posizioni  senza mai uno strappo o un dubbio. Un vero intellettuale organico sardo. Ebbene Fiori descrive la delusione per il Manifesto appena partorito dal duo Spinelli – Rossi diffusasi proprio a Ventotene tra i confinati nel 1941. Cito: “Ai primi lettori il manifesto pare frutto di menti stralunate ( …). Bauer lo lesse allibito”. Nel testo di Fiori sono citate tutte le critiche possibili. Sarebbe ingeneroso citarle .Tra i confinati solo Pertini firmò il manifesto. Lo stesso Spinelli si accorge delle ingenuità “rozzamente  leniniste“ del manifesto e nota come solo giellisti minori lo abbiano firmato. Rossi si offende e rompe i rapporti con gli altri confinati. Bauer aveva perfino  rivelato il fragile sistema nervoso di Rossi più che comprensibile in un uomo provato da anni di carcere. Una volta chiesi a Massimo Mila, carcerato e poi confinato con Rossi un’opinione sul Manifesto di Ventotene. Non volle parlarne e cambiò subito discorso. I limiti di tanti di “Giustizia e libertà“ a cui lui stesso appartenne, lo portarono ad aver simpatia per il Pci che era molto più serio. Senza voler infierire su nessuno perché Rossi merita rispetto assoluto per la sua onestà intellettuale, va detto che il Manifesto non ebbe adesioni neppure quando nacque a Ventotene. Se gli indignati di oggi fossero un po’ colti e avessero letto oltre il testo redatto nel 1941, il libro di Fiori, avrebbero taciuto , evitando una figuraccia che indebolisce il vero federalismo di oggi. Solo le terze file del Polo del ‘900 possono agitarsi a favore del Manifesto. Tra il resto, dal testo di Fiori si apprende di una giornata passata da Rossi  a Dogliani a casa di Einaudi nei 45 giorni badogliani del 1943 che rivela i rapporti allora molto superficiali che Rossi aveva avuto con i testi federalisti di Einaudi scritti per la I guerra mondiale e che portano a pensare con certezza che Einaudi non sia stato uno dei padri ideali del Manifesto del ‘41 che deve tornare nei piani alti delle biblioteche o addirittura uscirne come un’operina malcongeniata che meritava l’oblio in cui era caduta  con il passare del tempo. Gli insipienti purtroppo però non sanno cosa sia la saggezza espressa silenziosamente dal fluire del tempo.