Bentornati a un nuovo appuntamento con “Cinema Tips”, la rubrica dedicata al Cinema in toto e che trovate qui, solo su “Toscana Today” e Pannunzio Magazine”. Questa settimana affrontiamo un tema sempre attuale e che è tornato in un certo senso alla ribalta delle cronache storiche e culturali per gli episodi che hanno coinvolto alcune figure di spicco della cultura italiana e non solo. Gli argomenti principali sono la segregazione razziale e il valore delle donne nel mondo del lavoro e il lungometraggio in questione si intitola “Il diritto di contare”. Uscito nel 2016 e diretto da Theodore Melfi, il film ha conquistato tre candidature ai Premi Oscar. Le tre protagoniste sono Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monàe, mentre il cast si arricchisce di altri attori quali Kevin Costner, Kirsten Dunst e Jim Parsons.

La storia, tratta dal libro omonimo di Margot Lee Shetterly, racconta la vicenda della scienziata afroamericana Katherine Johnson e della sua esperienza professionale alla NASA, luogo che, negli anni ’60, vedeva il totale dominio professionale di uomini e che, quindi, vedevano di cattivo occhio la presenza di una donna nel loro staff, specie se afroamericana. Tuttavia la donna (e le sue amiche/colleghe) dimostreranno la loro intraprendenza e le loro qualità professionali guadagnandosi il rispetto dentro quell’ambiente oltre che la capacità di restare sempre aggiornate sull’evoluzione professionale del loro lavoro. Gli argomenti di cui parlare guardando questo lungometraggio sono tanti, soprattutto perché in merito ad alcuni aspetti purtroppo in Italia non sembra essere migliorata la situazione. In primis la situazione lavorativa a cui sono troppo spesso sottoposte le donne, valutate troppo per il loro aspetto e troppo poco per il loro effettivo valore professionale. A questo c’è da aggiungere i sorprusi e le minacce di natura fisica o psicologica a cui sono sottoposte di frequente dai loro superiori, i quali anziché cercare di valorizzarle tende a sfruttarle permettendosi di pagarle meno. In più il pensiero comune del popolo italiano sulle donne è a dir poco spaventoso, in quanto generalmente c’è la tendenza a pensare che nessuna donna sia in grado di fare carriera sia professionalmente che come mamma, portando avanti la famiglia. Generalmente c’è il pensiero retrogrado sul fatto che gli uomini passano la giornata nel luogo di lavoro e le donne in casa ad accudire i figli. Penso che nel 2020 sia un pensiero ormai superato, in quanto entrambi i genitori dovrebbero essere in grado sia di lavorare che di mantenere una famiglia, senza alcuna netta separazione dei ruoli. In più è di questi giorni l’aggiunta di un altro tema legato alla questione razziale e anche qui si sfonda un portone. Troppe volte chi ha carnagione scura non viene visto bene nei luoghi di lavoro, ma anche per strada o a livello sociale. Insomma, la strada per una maggior integrazione equa ed equilibrata sembra essere, almeno in Italia, alquanto lontana: un Paese incapace di valorizzare le proprie punte di diamante, figuriamoci quindi lavorare ad ampio raggio. E pensare che il film di cui stiamo parlando qui è ambientato negli Stati Uniti negli anni ’60. Da allora, che cosa è cambiato? Io temo poco, forse niente. Anche perché l’ignoranza, di fatto, è rimasta la medesima.