Accolgo con interesse l’invito rivoltomi dal Centro Pannunzio in relazione all’apertura di un dibattito sull’interruzione della disamina parlamentare del Disegno di Legge numero 2005 della XVIII Legislatura,  noto come “DDL ZAN”, dal nome del Deputato Alessandro Zan, primo firmatario dello stesso e relatore, avente ad oggetto “Misure di prevenzione e contrasto alla discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sulla disabilità” avvenuta al Senato lo scorso 27 ottobre, non solo come cittadino, ma anche come avvocato che si occupa di diritto di famiglia e delle persone. Affronterò la tematica sotto un duplice profilo, metodologico e, successivamente, di merito del provvedimento, premettendo, come ho evidenziato nel titolo di questo breve contributo, che il DDL Zan nasce, indubbiamente, con buoni, per non dire ottimi, propositi. Infatti, la discriminazione, di qualsiasi genere essa sia, per un liberale non può essere tollerata, non essendo ammissibile che si possa essere emarginati o, ancora peggio, aggrediti o uccisi per il proprio modo di essere, perché ognuno di noi, come direbbe il Prof. Guido Alpa, ha il diritto di essere sé stesso (proprio questo è il titolo del suo ultimo lavoro, pubblicato pochi mesi fa dalla casa editrice “ll Mulino”).  Peraltro, è la stessa Costituzione a vietare tali condotte, laddove all’articolo 2 afferma il principio personalista, e quindi la tutela dei diritti fondamentali della persona, sia come singolo che nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la personalità e laddove, all’articolo 3, afferma il principio di uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge, a prescindere dal sesso, dall’etnia, dalla lingua e dalla religione. L’attuale società, fondata su principi democratici e di civiltà giuridica, non può e non deve ammettere che possa riprendere qualsivoglia forma di vita una teoria formulata dalla dottrina tedesca, sotto il nazismo, la teoria della c.d “Della colpa d’autore”. Tale dottrina, correla la punibilità di un soggetto ad una propria condizione personale o ad un modo di essere non in linea con le direttive di regime, quale l’appartenenza ad una etnia, ad un determinato gruppo politico o ad una determinata classe sociale. Tuttavia, l’obiettivo di non discriminazione, deve essere perseguito con strumenti giuridici e dialettici adeguati che escludano posizioni unilaterali e di rifiuto di qualsivoglia forma di dialogo con tutte le forze politiche legittimamente presenti in Parlamento. Infatti, il sistema democratico impone, in generale, e quindi anche nel caso specifico,  un confronto tra le forze politiche di maggioranza e opposizione o, comunque, di sostegno o opposizione al Governo in carica,  non certo una posizione rigida e ostativa a proposte di modifica del provvedimento giunto in aula che hanno fatto interpretare, a molti opinionisti, nonché a molti giuristi, il DDL Zan come un baluardo di difesa ideologica di parte e non, come doveva essere, una legge a tutela di persone deboli e vulnerabili per condizioni soggettive, tra le quali, la disabilità, passata in secondo piano rispetto alle persone LGBQT. Con riferimento al merito del provvedimento, vi è necessità di considerazioni maggiormente articolate e specifiche, in quanto di carattere più strettamente giuridico. A mio avviso, la parte più discutibile del provvedimento, è l’articolo 4, secondo il quale «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte» sono libere «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». La formulazione del suddetto articolo è, quantomeno infelice e poco chiara in quanto lascia eccessiva discrezionalità alla valutazione del Giudice, con la conseguenza che il reato potrebbe, con facilità trasformarsi in un mero reato di opinione. Da parte di alcuni commentatori, si è ritenuto non sussistente tale eccesso di discrezionalità giudiziale, in quanto tale valutazione sarebbe vincolata, in questa prospettiva, all’accertamento in concreto dell’idoneità della condotta ad istigare alla commissione di atti violenti o discriminatori. A mio avviso, la formulazione della norma nei termini suddetti rischia di essere non sufficientemente tassativa e determinata, in quanto all’autorità giudiziaria è rimessa, comunque, una valutazione discrezionale circa il nesso di causa tra la condotta di istigazione e l’ efficacia della medesima,  in relazione al compimento degli atti discriminatori o violenti, con il rischio di creare un corto circuito tra gli articoli 2 e 3 della Costituzione, e il principio di libertà di espressione di cui all’articolo 21 della Carta Fondamentale. Seppur la previsione del DDL Zan non sia volta a comprimere la libertà di espressione, in concreto, come precisato, potrebbe operare in tal senso. Inoltre, la norma sembra possa essere considerata pleonastica laddove la tutela della vita, dell’incolumità fisica, della reputazione e della dignità della persona sono garantiti a tutti, a prescindere dal sesso, dall’etnia, dal proprio modo di essere, in quanto l’articolo 2 non riguarda solo i cittadini, ma la dignità e l’identità della persona in quanto tale, secondo un principio che potrebbe essere definito di “Diritto naturale”. A quanto sopra si aggiunga che il codice civile, non va dimenticato, tutela incondizionatamente, il diritto al nome, all’identità personale e alla reputazione. In ogni caso, al di là delle questioni di diritto civile e penale, occorre chiedersi se lo strumento penalistico sia adeguato a tutelare, con una sorta di “ghettizzazione” di genere, persone LGBTQ, considerato, altresì, che la c.d. rettificazione del sesso è già prevista e disciplinata dalla legge numero 164 del 1982, e la legge 25.6.1993 n. 25, c.d “Legge Mancino” punisce i c.d. reati di odio. A mio avviso, delegare alla legge penale una questione meramente educativa e sociale, quale è il rispetto del modo di essere altrui, è non solo errato in linea di principio, ma è riduttivo, in quanto la riduce a mera imposizione giuridica, presidiata da sanzione penale. Piuttosto, dobbiamo chiederci perché, ancora oggi, si venga discriminati per ragioni di genere, per il proprio modo di essere, e perché la diversità, comunque la si intenda, debba, ancora oggi, costituire un problema, e non una risorsa, come il liberalismo ci insegna. Credo doveroso citare, a conclusione di questa breve nota, citare il lavoro delle 21 componenti di sesso femminile dell’assemblea costituente, le quali si batterono più dei loro colleghi uomini non solo per una effettiva parità di genere tra uomini e donne, ama anche per una formulazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione utile ad una società aperta ed inclusiva nei confronti di tutti. A loro, tutti noi, come cittadini, ma anche come giuristi, dobbiamo ispirarci affinché gli articoli 2 e 3 della Carta costituzionale trovino effettiva attuazione e non si debba più discutere della necessità di una normativa, quale è il DDL Zan, a tutela di persone che per nessun motivo dovrebbero essere protette, ma semplicemente considerate esseri umani e cittadini come tutti gli altri.

N.B: il presente contributo è inviato a titolo personale e le opinioni espresse non impegnano la sezione di Savona dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, della quale lo scrivente è Presidente