Una volta ogni sette anni (ma tre volte nell’ultimo decennio) c’è una scadenza istituzionale che assorbe l’attenzione e le energie di tutti i protagonisti e osservatori della politica del Paese. È l’elezione del Presidente della Repubblica da parte dei grandi elettori, deputati, senatori, delegati regionali. L’interesse di questo appuntamento va anche oltre l’importanza del ruolo istituzionale del Capo dello Stato. Si tratta infatti di un’occasione speciale, estranea alla routine della politica di palazzo, nella quale i partiti e i leader devono esporsi (non nelle strade e nelle piazze, come diceva Gaber, ma comunque nell’emiciclo sotto gli occhi dell’opinione pubblica), per la scelta di un nome secco senza possibilità di mediazioni o bilanciamenti, che nessuno è in grado di promettere e garantire. È forse il momento che più mette a nudo i meccanismi della politica, le trattative, le alleanze, le fragilità, le debolezze, le ambizioni, i veri interessi dei rappresentanti del popolo. Dei leader di partito come dei peones. La capacità dei primi di tenere unite e controllare le truppe. L’affidabilità e la fedeltà dei secondi. Degli uni e degli altri la disponibilità ad affrontare scenari nuovi e affrontare nuove sfide, personali e collettive. Il gioco diventa appassionante. Gli incontri tesi. Le giornate febbrili. E l’evento si trasforma in rito. Superfluo riprendere le analisi politiche di dettaglio relative alle diverse giornate di trattative e performances parlamentari che hanno portato alla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale. C’è stato però lo spettacolo di una classe politica che non ha saputo trovare nessun punto di incontro, nessuna prospettiva condivisa, nessun’altra soluzione che andare a chiedere all’ormai ex Presidente di restare per il bene del Paese e di sopperire all’incapacità del Parlamento di svolgere una sua funzione costituzionale primaria, mantenendo al contempo gli equilibri politici necessari a governare il Paese. Rimane l’impressione di un Parlamento inadeguato, incapace di assumersi i rischi e le responsabilità di scelte che la Carta costituzionale gli assegna, preoccupato solo di difendere l’interesse privato alla conservazione dello scranno fino alla fine naturale della legislatura. E così si è chiusa la pratica con questo esito presentato come la soluzione ottimale, in realtà abbastanza indecoroso. E lo si è fatto anche in fretta. In tempo per l’apertura del Festival di Sanremo.
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