“La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura” ha affermato Claude Levi Strauss. Yvonne Carbonaro, scrittrice e giornalista, svela attraverso le ricette tradizionali, i prodotti locali, le curiosità e gli aneddoti, fatti storici, antichi e nuovi saperi, la cultura millenaria di Napoli. “Il cibo racconta Napoli -L’alimentazione dei napoletani attraverso i secoli fino ad oggi” – Kairòs edizioni, è scritto come un racconto ma, prendendo in prestito i principi base della cibosofia che propone di leggere ogni piatto come un intreccio di alimenti, storia, cultura e tradizione di un territorio e del suo popolo, si trasforma in un’occasione ghiotta per conoscere tradizioni e valori.
La storia della cucina è un percorso strettamente legato agli avvenimenti che
hanno scandito il comportamento umano nel corso dei secoli. Una chiave di lettura sempre più usata da cuochi, chef e storici che partendo da tutto ciò che offre la nostra terra, possono raccontare il patrimonio culturale e l’identità dei luoghi. Il cibo, quindi, mentre riesce ad appagare la nostra fame fisiologica, soddisfa anche la voglia di scoprire e conoscere le vicende umane attraverso i sensi. Le nostre terre sono enormi giacimenti di specialità alimentari e culturali da rivelare e valorizzare. Napoli e tutto il SUD rappresentano un eccellente esempio di come la cucina può farsi depositaria di ricchezze e di sviluppo economico. Yvonne Carbonaro guida il lettore con eleganza e sapienza in questo viaggio nella memoria, mostrandoci come alimenti e pietanze nutrano lo spirito della società partenopea nei secoli.Riflessioni, gesti, atteggiamenti, mode, pratiche, storie di vita che rivelano il carattere, e i meccanismi dell’agire, materiale e intellettuale, particolari che danno senso e calore al cibo e ne fanno, ben oltre il suo valore nutrizionale, uno strumento di piacere e un’occasione di socialità, quasi una forma artistica. La letteratura e il cinema sono pieni di esempi, da Proust e le sue Madelaine ad Anton Ego di Ratatouille, al caffè di Eduardo, di rievocazioni d’impressioni che si ripropongono anche a distanza di tempo. “Scegliamo di mangiare sempre meno per sfamarci e sempre più per emozionarci” ha affermato Ryan Bromley e queste suggestioni sono diverse per ciascuno di noi, a seconda della nostra cultura, del nostro vissuto, della nostra sensibilità. Allo stesso tempo, rispecchiando la società con le sue convinzioni e la sua etica, la cucina è anche “consapevolezza” perché nei suoi piatti veicola messaggi, e deve assumersi le responsabilità delle conseguenze. Un testo, quello di Yvonne Carbonaro, dedicato a un vasto pubblico, eppure accurato e completo, che induce a riflettere. La cucina è tempo e memoria, un “bene universale e democratico” perché i suoi elementi possono essere combinati in migliaia di modi, testimone, al tempo stesso, dell’integrazione tra le diversità dei popoli. Narrando la “grammatica alimentare” di Napoli l’autrice rivela e dimostra ciò che è sempre stata: “il luogo per eccellenza dello scambio e della contaminazione, oltre che più che dell’origine.”
Radici arcaiche quelle della cucina napoletana come antichissima è la storia delle “genti” che vi hanno convissuto, un retaggio autorevole che genera un più che giustificato orgoglio di appartenenza a una civiltà profonda, articolata e raffinata. “Più che una storia un’antropologia; una filosofia della vita, perfino, che nella preparazione e nella consumazione dei cibi, ha modo di mostrare i caratteri costitutivi della città di Napoli e la sedimentazione di stili di vita”.
Un compendio che collega generazioni e ricostruisce il filo di memorie e cultura, che lega i vari momenti della civiltà del mangiare. Un lavoro basato su manuali classici, testi letterari, cronache, canzoni e leggende tramandate nel tempo. “Quasi un romanzo storico in cui protagonista è soprattutto la città e dove i personaggi – re, principesse, cuochi, gastronomi e poeti, insieme alla popolazione – narrano, direttamente o indirettamente, di fastosi banchetti o poveri cibi e descrivono la nascita di una tradizione culturale importante, senza scadere nel folklore, composta di un mix tra passato e pensiero contemporaneo, usanze locali e contaminazioni esterne. Una magica rievocatrice di riti familiari, la definisce nella Prefazione Manlio Santanelli, e di una parlata che attraverso le continue citazioni mostra una lingua in evoluzione, ricca e nobilissima. Insomma, per dirla con uno degli imperativi categorici che concludono il libro, a Napoli “d’‘o limone manco ‘a foglia se jetta”, a Napoli, nemmeno la foglia del limone si butta.