Per la difesa della cultura e delle tradizioni, un Cannolo Laqualunque non fa e non può essere un Cannolo Siciliano. Non è soltanto questione dolciaria ma di tradizione.
Non è accettabile che un quivis de populo possa sovvertire le verità, la cosa è irrispettosa e inelegante, e rispetto ed eleganza sono ingredienti importanti dei costumi di una civiltà.
Il Cannolo Siciliano, masculu per nascita, sesso e tradizione, quello classico della tradizione araba, ha una filosofia che va intanto conosciuta, essendo dolce che fonda la sua natura sul contrasto fra il dolce della ricotta di pecora e l’amaro della scorza d’arancia candita.
Chi volesse fare delle varianti è ovviamente libero di farle ma alla elementare, educata condizione di riconoscere che si tratta di un altro prodotto. Ad esempio può proporre al posto della scorza d’arancio la ciliegina dolce, dando vita ad una creatura diffusa in parte della Sicilia e altrove, ma riconoscendo che quel prodotto nulla ha a che fare con il Cannolo Siciliano perché nulla ha più della sua essenza, del suo gusto, della sua tradizione. Sommare infatti il dolce al dolce produce un … gusto diverso, che io definisco in modo più diretto “disgusto”.
Ma insomma fuori da una logica di lesa maestà, stiamo ai fatti: un siffatto Cannolo Laqualunque, Cannolo Siciliano non è! … quello classico nato e tramandato nei suoi territori d’origine, quale fatto certificato e pacifico nella storia dell’arte bianca siciliana.
E allora io dico, nel rispetto della legittima libertà di creare la diversità, ben venga l’inventiva, ma che si tratti di nuovi prodotti dolciari e li si battezzi con un loro nome, qualunque esso sia, la Minna di Vergine è Minna di Vergine, u Babbà è Babba, u Cannolo è Cannolo.
Avevo già proposto un dibattito simile per la difesa dell’Arancina siciliana dalla profanazione del cosiddetto arancinu. Attenzione nel dire “cosiddetto” non esprimo disprezzo, ci mancherebbe, marco semplicemente una linea di difesa e di dignità identitaria. Per capirci, un esempio: amo tantissimo la Pasta alla Norma, ma spero che a nessuno possa venire in mente, fuori dalla valle dove è stata concepita, di cambiare denominazione e sesso.
Si sorride a riguardo ma, vedete, si tratta di battaglie giuste perché le tradizioni vanno difese, e non per una sorta di impropria distanza, ma per affermare la verità storica senza la quale la storia si perde, si perdono le parole, il pensiero, le esperienze che costituiscono la trama di un buon linguaggio, quello utile a tramandare, a unire passato e futuro, insomma a conoscere il mondo, i fatti autentici, e a costruire relazioni proficue.
E a tal proposito, nella storia della modernità, la distinzione linguistica fra fatto e opinione, è fra i pilastri fondamentali della Comunità.
Mai dunque rinunciare al culto di queste trame, da esse dipende la conoscenza di una storia ma anche e soprattutto il senso che questa storia può proiettare sul futuro, perché, sia chiaro, se si mente su un Cannolo Siciliano, allora siamo giunti al mercantilismo levantino, astuto e spregiudicato. Cessa la secolare rete di protezione di una civiltà, quella del dolus bonus latino, che segna il confine ermeneutico con la truffa, pervenendo rovinosamente all’essenza del concetto stesso di dolus.
Ma noi siamo sereni, le tradizioni resistono più a lungo di ogni maramaldeggiare, e un grande pasticcere siciliano lo conferma.
Sì, torniamo e concludiamo con l’altra nota querelle, Arancina/arancino. In tal senso è utile tornare a Savia, eccellenza della gastronomia e pasticceria a Catania, negozio sito nella bellissima Via Etnea, di fronte alla Villa Bellini. Savia fino a pochi anni fa usava produrre e vendere l’Arancina, l’espressione non era gradita ai catanesi. Pressato dal suo pubblico cittadino loaccontentò, accentuò le caratteristiche locali del prodotto e, sottolineando una corretta nota di localismo, nacque l’Arancinu catanisi.
Così è stata resa giustizia ad una Tradizione, nobilitata un’Arte, prodotto autentica Cultura, e … Savia docet!