L’Albania è una nazione fiera: attraversandola vedi spesso la bandiera sventolare, è la gente stessa che la espone, ti colpisce che pure un piccolo cantiere edile che sorge non manca di issare su un bastone la bandiera con l’aquila. È un paese che ha sofferto, in ultimo sotto il comunismo. La sua transizione dal collettivismo alla democrazia non è caratterizzata da momenti di particolare grandezza, non ha compiuto una vera e propria Rivoluzione (come invece amano dire di sé i cechi, gli slovacchi, i romeni); si fa fatica a trovare, nel passaggio al multipartitismo una data di svolta, una Bastiglia, un annuncio alla radio che diede il via all’Insurrezione.
I suoi martiri, tuttavia, sono una moltitudine. Oltre alle sue feste nazionali, l’Indipendenza, la Liberazione dal nazi-fascismo, il Giorno di Madre Teresa e altre, c’è pure un 25 aprile molto importante per loro: il 25 aprile 1993.
Quel giorno, domenica, l’Albania era visitata dal Giovanni Paolo II. Quel giorno sentirono il riscatto, l’orgoglio davanti all’opinione pubblica mondiale, perché l’autorevolezza di un papa additava al mondo l’eroismo di questa minuscola nazione.
Quel che è avvenuto in Albania è qualcosa di mai registrato nel corso della storia. (…) Voi avete sofferto per la vostra Nazione. Avete dunque ragione di amarla con passione. Quella del vostro popolo è stata una vera sconvolgente tragedia. (…) L’Albania è sprofondata in un abisso dal quale è un vero miracolo che sia potuta uscire senza spargimento di sangue. (…)
Il popolo albanese è esemplare. Le tre grandi Comunità religiose intrattengono rapporti di reciproca stima e di cordiale collaborazione. Perseverate in tale atteggiamento! (…) Carissimi, non posso non salutare una persona molto umile che si trova qui tra noi.
È Madre Teresa di Calcutta. Tutti sanno da dove viene, qual è la sua Patria. La sua Patria è qui. Anche nei tempi dell’isolamento completo dell’Albania c’era questa umile religiosa, questa utile serva dei più poveri che portava in tutto il mondo il nome della vostra Patria. In Madre Teresa, l’Albania è stata sempre stimata.
Il Giorno di Nȅnȅ Terezȅs (18 ottobre) è festività nazionale e a lei hanno intitolato l’aeroporto della capitale.
L’Albania, il candidato più prossimo a entrare nell’Unione Europea, è oggi un Paese che, pur in modo disordinato, cerca di risorgere: tanto boom edilizio; forse non altrettanta solidità istituzionale e morale. Anche a causa di una classe politica non sempre all’altezza. Questo perché, caduto il regime sanguinario, rimase il nulla: esso aveva fatto attorno a sé solo terra bruciata. E una classe dirigente non la si inventa da zero.
I regimi totalitari, come prima cosa, badano ad azzerare ogni possibile altra voce, ogni elemento di cultura, ogni idea. Ma in precedenza gli Albanesi non è che fossero solo pastori ignoranti. Si pensi che dei 400 mila perseguitati politici più della metà avevano un’istruzione elevata, conoscevano lingue straniere, il 30% era laureato e specializzato all’estero. E’ che fu fatta tabula rasa: lo hanno fatto in altri Paesi dell’Europa Orientale, lo hanno fatto dovunque abbiano preso il potere[1].
Cominciarono con l’eliminazione degli alleati coi quali avevano insieme sconfitto le forze d’occupazione. Spettacolari processi, montature: a partire dal febbraio 1945, impiccagioni, fucilazioni, prigione, lavori forzati. E, nella fase istruttoria, sempre venivano torturati (almeno il 5% è morto sotto tortura). In 45 anni furono coinvolte non meno di 400 mila persone: 50 secoli di carcere in 19 fra prigioni e campi di lavoro per un territorio grande come due regioni delle nostre.
Ma un accanimento particolare in Albania fu contro la Fede e in specie contro il nord cattolico e il suo clero. Perché questo? Il clero cattolico era la componente più preparata, più colta e inculturata, l’avversario più temibile perché autorevole; e più insidioso per il futuro perché formatore di una classe dirigente democratica e occidentale. Scutari, Alessio, Durazzo, …
L’Ordine dei frati minori era presente dal 1242 (per l’Albania era passato S. Francesco stesso). Scuole di ogni ordine e grado, un prestigioso liceo classico, una tipografia: la cultura del Paese è debitrice al poeta nazionale Padre Gjergj Fishta o.f.m. e a tanti altri letterati col saio.
I padri gesuiti, stabilitisi nel 1841, presenti in Scutari e Tirana, anch’essi formatori con nomi prestigiosi, animatori di circoli culturali, creatori nel 1891 della prima rivista Albanese, e dell’allestimento del primo teatro. Durante l’occupazione tedesca divennero centro di ospitalità e assistenza ai poveri: proprio per proteggere questa gente, nel 1944 lo stesso superiore Padre Giovanni Fausti (bresciano della val Trompia), rimase gravemente ferito alla colonna vertebrale.
Affrancare il Paese da retaggi ancestrali presenti nelle tradizioni albanesi: come la piaga della vendetta (ossia l’obbligo sociale, incancellabile per sette generazioni, di vendicare un tuo parente, uccidendo a tua volta l’omicida)[2]. La Compagnia di Gesù lavorava molto per portare i clan parentali alla riconciliazione del sangue: nella prima metà del XX secolo le riconciliazioni di sangue furono oltre quattromila. Significa quattromila vite umane salvate, ottomila famiglie che riprendevano a vivere in pace fra loro.
E quindi la presenza cattolica era un legame culturale con l’Occidente e con il pensiero democratico e liberale: l’annientamento di gesuiti e francescani fu una precisa indicazione data da Belgrado, per poter attrarre nella propria sfera l’Albania (e in quei primi anni Enver Hoxha[3] era emulo e vassallo di Josip Tito). Dapprima fu chiesto di creare una Chiesa autocefala, di fatto sottomessa al potere civile (come è oggi la c.d. “Chiesa patriottica” in Cina). Al loro inevitabile rifiuto, vi fu l’espulsione di tutti i missionari stranieri: più di 200 dovettero partire. Religiosi che avevano passato la maggior parte della loro vita al servizio del popolo albanese. Per chi restava cominciava il calvario: è una storia che va raccontata bene e, per ragioni di spazio, non si può iniziare qui.
La morale della favola è che nel 1945 due furono le strade intraprese dai popoli europei: «Era la logica dei blocchi, loro eran finiti dall’altra parte». Sì, ma di qua si poteva votare! Quanta malafede in questa comoda e deresponsabilizzante narrazione simmetrica: perbacco, a Occidente la strada ce la siamo scelta, a Oriente fu imposta. Alla fine il raffronto dei due XXV aprile (1945 italiano e 1993 albanese) ci ricorda che anche sul nostro territorio fra i partigiani non tutti combattevano per gli stessi fini: chi lottava per la cacciata dello straniero e per la libertà; chi perseguiva un fine ulteriore: l’instaurazione di una Democrazia popolare. Sul modello dell’Albania, appunto.
Tutti i democratici erano antifascisti. Non tutti gli antifascisti erano democratici.
Per saperne di più:
- Pjetȅr Pepa, Pagine sulla dittatura, il volto dei martiri albanesi, Rindertimi Ed Insieme, Bari, 1998; corredato di biografie e immagini degli imputati nei processi.
- Zef Simoni vescovo, Persecuzione della Chiesa cattolica in Albania 1944-1990, At Gjergj Fishta, Scutari, 2000.
- Zef Simoni vescovo, Eventi sulla terra, Camaj-Pipa, Scutari, 2002.
- Zef Pllumi, Il sangue di Abele, Diana edizioni, 2013.
- Ahmet Bushati, Diario dall’inferno, Shtȅpia Botuese Rozafat, Scutari, 2012.
- Giovanni Arledler, Padre Anton Luli S.I., Velar, Gorle Bergamo, 2016.
[1] Si vedano anche Holodomor, 3/11/2022 e Febbraio 1979 Iran, 14/2/2023.
[2] Una tradizione peraltro non ancora completamente sradicata: mi è stato additato, nel centro di un popolosa città, un individuo «Lo vedi quello lì? Se torna al suo paese gli fanno la pelle. Sanno che è qui ma non vengono a cercarlo: per il codice d’onore è sufficiente che stia lontano».
[3] Pr. Ogia.